il manifesto 13.9.16
Francia, prove di suicidio a sinistra
Verso
le presidenziali. Pletora di candidati anti-Hollande, nessun accordo
sulle primarie. Il ballottaggio rischia di essere tra destra e estrema
destra. La sinistra di governo alla prova della crisi di Alstom
di Anna Maria Merlo
PARIGI
Prove di suicidio a sinistra. Lo schieramento della grande sinistra,
dai socialdemocratici di governo fino alla sinistra critica e gli
écolos, parte nella confusione per l’ultimo tratto della corsa alle
presidenziali. Quanti candidati che fanno riferimento a quest’area
politica ci saranno al primo turno il 23 aprile? Il ballottaggio sarà
uno scontro destra-estrema destra? Il fine settimana è stato molto
inteso in dibattiti, tra la Fête de l’Humanité a La Courneuve e la
riunione a La Rochelle dell’ala sinistra del Ps. Il sistema elettorale
francese richiede l’unità per sperare di vincere. Ma la grande sinistra è
ormai lacerata: le questioni di identità (la sciagurata proposta, poi
fallita, della privazione di nazionalità per i condannati per terrorismo
con doppio passaporto) e quelle economico-sociali (la Loi Travail in
testa) hanno creato una spaccatura che pare insuperabile. Sullo sfondo,
c’è la questione europea, la scelta dell’austerità, che sta minando ogni
possibilità di unità nella grande sinistra, con Hollande accusato di
essere un “traditore”.
Alla Fête de l’Humanité c’è stata una
sfilata di possibili candidati della parte più critica verso la
presidenza Hollande: Jean-Luc Mélenchon, che spera di accentrare lo
scontento sul suo nome, gli ex ministri Arnaud Montebourg e Benoît Hamon
che si contendono il ruolo di miglior sfidante a François Hollande
all’interno del Ps, la verde Cécile Duflot, che punta a vincere le
primarie, ma limitate alla sola partecipazione di esponenti di
Europa-Ecologia. Mélenchon non intende partecipare alle primarie di una
sinistra allargata, con il Ps (l’impegno è, per i perdenti, di sostenere
il vincitore), perché ritiene che la frattura con Hollande sia ormai
consumata e irrecuperabile. Il Pcf è in difficoltà, il segretario Pierre
Laurent per il momento non è candidato, ma il partito ha vissuto male
lo strappo di Mélenchon, che si è lanciato per primo e da solo,
sotterrando il Front de gauche (ora è leader del “parti des insoumis”).
Un primo turno della presidenziale senza la presenza del Pcf – o di un
candidato da esso sostenuto, come è successo nel 2012 – sarebbe
l’accettazione della definitiva marginalizzazione. Cosa succederà poi
alle legislative, senza accordi locali con il Ps? Per Jean-Christophe
Cambadelis, segretario Ps, è ormai “un po’ tardi” per pensare a delle
primarie di unione di tutta la sinistra.
A destra del Ps, l’ex
ministro Emmanuel Macron, è sceso in campo con il movimento En Marche! e
tasta il terreno per un’eventuale candidatura da cane sciolto. Per
rendere ancora più confusa la situazione c’è l’incognita Hollande: il
presidente ha ormai fatto molti passi verso una probabile candidatura ad
aprile, ma l’ufficializzazione non dovrebbe arrivare che verso fine
anno. Non è neppure chiaro in che modo Hollande possa partecipare a una
primaria Ps pur essendo ancora all’Eliseo e quanti sfidanti avrà di
fronte. Montebourg, per esempio, è tentato di correre senza passare per
le forche caudine delle primarie.
Gli “ego” si gonfiano, posizioni
che non sono molto distanti tra loro (Montebourg, Hamon, ma anche altri
due probabili sfidanti Ps, Marie-Noëlle Lienemann e Gérard Filoche)
diventano quasi inconciliabili a causa dell’esasperazione dei
personalismi, peccato originale delle presidenziali. Hollande ritiene di
poter usare l’arma della “presidenzialità” per sbarazzarsi dei rivali,
contando sul “voto utile” in suo favore, a cui si piegherebbero senza
entusiasmo i cittadini che non vogliono trovarsi nella morsa di uno
scontro destra-estrema destra. Ma tutti i sondaggi, qualunque sia il
candidato a destra, danno Hollande assente al ballottaggio, che minaccia
di essere tra il candidato che uscirà vincitore dalle primarie a destra
del prossimo novembre e Marine Le Pen.
La vicenda di Alstom, in
queste ore al centro dell’attualità, peserà molto: il costruttore di
treni minaccia di chiudere la fabbrica storica di Belfort per mancanza
di ordinazioni. Lo stato è presente al 20% nel capitale di Alstom, che
paga la scelta della Sncf (ferrovie, controllate dallo stato) di non
aver scelto Alstom per l’ultimo rinnovamento di treni. Hollande ha
promesso ieri di “salvare Alstom”. Impegno accolto con grande
scetticismo dai lavoratori minacciati di perdere il lavoro.