il manifesto 13.9.16
Ci mancava il muro di Calais
Europa-fortezza.
Iniziata dalla Spagna a Ceuta e Melilla, la corsa a costruire barriere
sempre più "invalicabili" a difesa dell’Europa e dei singoli Stati si
ripropone sul confine anglo-francese con dettagli tendenti al bieco.
Intanto sempre più migranti trovano la morte nel tentativo disperato di
attraversare comunque le frontiere. I dati ufficiali parlano di un vero
genocidio
di Annamaria Rivera
Ci mancava il muro
di Calais, progettato dal Regno Unito in accordo con la Francia, per
completare il quadro dell’Europa-fortezza. Questa locuzione, che da
molti anni usiamo in senso traslato, oggi è divenuta puramente
descrittiva. L’imminente costruzione della «Grande Muraglia di Calais»
(come è stata definita con un certo sarcasmo) non è che tappa ulteriore
del processo di fortificazione non solo dell’Europa, ma anche di singoli
Stati, nonché del dilagare di protezionismi e nazionalismi, a loro
volta culla delle formazioni di estrema destra. Per non dire della
tentazione ricorrente di esternalizzare e militarizzare le frontiere,
prolungando così i bastioni della fortezza fino all’Africa subsahariana.
Fa
impressione osservare la mappa delle barriere anti-migranti che, erette
lungo le frontiere nazionali, punteggiano sempre più fittamente il
territorio europeo. Pioniera in questo campo è stata la Spagna, con le
famigerate, blindatissime barriere nell’enclave di Ceuta e Melilla, in
territorio marocchino. Costruite a partire dal 1998, anche col
contributo finanziario dell’Unione europea, sono costate la vita a non
pochi migranti. Basta ricordare che tra settembre e ottobre del 2005
almeno tredici subsahariani furono colpiti a morte dai proiettili di
gomma della Guardia civile, mentre tentavano rischiosamente di
oltrepassare gli sbarramenti. Per non dire delle centinaia di persone da
lì deportate nel deserto del Sahara e abbandonate a una morte quasi
certa.
Da allora e soprattutto in coincidenza con l’attuale «crisi
dei rifugiati», numerosi Stati, anche tra i ventotto dell’Unione, hanno
ripristinato i controlli alle frontiere, sospendendo così la libertà di
circolazione degli stessi cittadini europei: uno dei pochi elementi,
concreto e simbolico, che dava loro il senso di una comune appartenenza.
Ma non solo: hanno anche eretto muri e barriere di filo spinato, in
qualche caso sorvegliati dall’esercito. Lo hanno fatto dapprima
l’Ungheria e l’Austria – immemori del ruolo che svolsero nel 1989
rispetto all’apertura della Cortina di ferro – alimentando in tal modo
reazioni a catena: Slovenia, Croazia, Serbia, Macedonia, Bulgaria,
Lituania, Estonia hanno, a loro volta, eretto muri contro gli “alieni”.
Come
scrive l’antropologo Michel Agier, se la frontiera permette ancora
relazioni e scambi, «il muro rende i migranti “indesiderabili” e (…)
autorizza ogni genere di violenze». Inoltre, «rafforzando il fantasma
dell’invasione e della contaminazione», soggiunge, «i muri incrementano
la paura e richiamano ancora altri muri». E non servono affatto a
bloccare migranti e rifugiati, i quali tenteranno comunque di dare
l’assalto, costi quel che costi, al nuovo muro, per quanto
“invalicabile” e sorvegliatissimo. O saranno sospinti verso itinerari
ben più lunghi e rischiosi, che faranno lievitare le tariffe dei
passeur.
Ricordiamo che la “Grande Muraglia di Calais”, dal costo
ragguardevole di 2,7 milioni di euro, alta quattro metri e lunga più di
un chilometro, sarà finanziata dal Regno Unito, ma costruita dai servizi
francesi della DIR, la Direzione interdipartimentale delle strade.
Insomma, quando si tratta di guerra ai migranti non c’è Brexit che
tenga. A render più bieco questo progetto c’è un dettaglio estetico, per
così dire: la DIR ha assicurato che sarà un muro, sì di cemento, ma
adornato di piante e fiori nel lato rivolto agli abitanti di Calais; il
lato opposto, quello che guarda alla “giungla” – la più grande
bidonville di migranti in Europa –, sarà di nudo cemento, il più liscio
possibile per impedirne la scalata e quindi l’assalto ai camion diretti
nel Regno Unito.
Il muro anglo-francese prolungherà e rafforzerà
la recentissima barriera, alta quattro metri e sormontata da filo
spinato, che separa l’autostrada dalla “giungla”. Qui, nonostante gli
sgomberi, tuttora si affollano, in condizioni indegne (malgrado la
solidarietà attiva di tante associazioni) un gran numero di profughi:
secondo il censimento compiuto lo scorso agosto dall’Ong Help Refugees,
sono più di novemila, provenienti in massima parte dal Sudan e
dall’Afghanistan. Fra loro, 865 minorenni, dei quali 675 non
accompagnati. Il più giovane ha appena otto anni.
Di sicuro questi
autentici dannati della terra tenteranno altri percorsi, ancor più
rischiosi, e i passeur si organizzeranno di conseguenza. Finora almeno
una quarantina di loro hanno perso la vita nel tentativo di raggiungere
l’altro versante del canale della Manica, incrementando l’infinita
ecatombe dell’Europa-fortezza. Chi ritiene sia scorretto ed enfatico
parlare in proposito di genocidio, mediti sui dati seguenti. Secondo il
Missing Migrants Project, se nel 2016, fino a oggi, i migranti morti e
“dispersi” su scala mondiale sono stati 4.310, di questi ben 3.226 erano
diretti in Europa. Tradotto in percentuale, ciò vuol dire che, il
tentativo di raggiungere una meta o l’altra del nostro continente è
costato la vita al 74, 8% del totale delle vittime di migrazioni su
scala planetaria: una percentuale ancor più elevata di quella
dell’intero anno 2015, quando il “primato” europeo si fermava al 72,11%.
Un
tal lugubre record è l’esito di decenni di blindatura delle frontiere,
di costruzione di muri, reticolati e dispositivi di sorveglianza, di
misure d’intimidazione, violenza, segregazione e deportazione dei
migranti. Il “primato” non porterà bene all’Europa: priva di memoria,
progetto, concordia, in preda al delirio da invasione, per quanto
fortificata essa sia, rischia di frantumarsi miseramente insieme ai muri
che ha elevato.