domenica 11 settembre 2016

il manifesto 11.9.16
Spagna, la porta stretta per evitare le terze elezioni in un anno
Spagna. Iglesias non ha chiuso in modo pregiudiziale il rapporto con il Psoe. Ne verrà qualcosa di positivo per la sinistra?
di Aldo Garzia

È strettissima la porta che può portare a evitare alla Spagna le terze elezioni in un anno. A tenere aperta la possibilità di una chance ci prova in questi giorni Pedro Sánchez, segretario del Partito socialista (Psoe). Pur non avendo avuto un formale incarico dal re Filippo VI, il leader socialista sta saggiando in queste ore le disponibilità di Podemos e di Ciudadanos a formare un governo.
Dopo che la Camera ha negato per due volte la fiducia a Mariano Rajoy nel suo ruolo di premier da confermare, il Partito popolare (Pp) non ha infatti grandi possibilità di imporre una soluzione di governo.
C’è tempo fino alla fine di ottobre per evitare lo scioglimento del Parlamento e per approvare una leggina che eviti in ogni caso la chiamata alle urne in prossimità di Natale. Da qui il lavorio in corso.
Sánchez punta a un accordo programmatico con Podemos e a ottenere la benevola astensione di Ciudadanos, formazione neocentrista riluttante a farsi risucchiare nell’orbita del Pp, partito eccessivamente liberista e di destra, travolto da una miriade di scandali e scandaletti (l’ultimo ha portato alla revoca di José Manuel Soria come rappresentante di Madrid nella Banca mondiale). Il leader del Psoe lavora anche a ottenere i voti di alcuni partiti nazionalisti, indispensabili per avere una maggioranza non troppo risicata. La porta è strettissima, non impossibile.
C’è già stata una riunione tra Sánchez e Izquierda unida (fa parte della coalizione di sinistra con Podemos) che ha avuto un esito incoraggiante: il dialogo non si è chiuso, come avvenne invece dopo le elezioni dello scorso novembre, e si è accennato ad alcuni contenuti di un auspicabile programma comune. Lo spauracchio di nuove elezioni fa paura a sinistra. Gli effetti sugli umori dell’elettorato di una simile prospettiva sono imprevedibili, dopo nove mesi di assenza di governo: inchieste e sondaggi segnalano il crescere della disaffezione verso la politica e i partiti, pure nei confronti di Podemos che ha rotto lo schema bipolare della politica spagnola e dato speranza di un cambiamento radicale non solo alle nuove generazioni.
Del pericolo che rappresentano nuove elezioni è consapevole Pablo Iglesias, leader di Podemos, che proprio nel recente dibattito parlamentare ha invitato i socialisti a non gettare la spugna e a provare a formare un governo. Il tono è stato diverso rispetto al recente passato. Il non sorpasso di Podemos rispetto al Psoe nelle elezioni di giugno consiglia evidentemente maggiore prudenza.
Da qui le indiscrezioni su un possibile programma minimo che avrebbe al suo centro essenzialmente l’economia: sospensione di alcuni provvedimenti liberisti varati dal governo Rajoy, rilancio dell’occupazione con investimenti pubblici, interventi a sostegno di salari e pensioni.
A dividere Psoe e Podemos c’è però la «questione catalana», ammesso che la convergenza sull’economia possa esserci davvero. L’ipotesi di un referendum popolare sull’indipendenza della Catalunya piace a Podemos, che ne esalta il valore democratico qualunque sia il suo esito, ma è visto con pericolo e circospezione dai socialisti che temono l’avvio della disgregazione della Spagna qualora vincesse il «sì» indipendentista. Maggiore autonomia di sicuro per Barcellona, dice Sánchez, all’interno tuttavia dell’idea di uno Stato confederale che rinnova lo stare insieme degli spagnoli e delle varie realtà regionali.
Il terzo incomodo di un accordo a sinistra è ovviamente Ciudadanos. Albert Rivera, leader dei centristi, è molto riluttante all’idea di una astensione verso un maggioranza che abbia come baricentro un patto Psoe-Podemos: preferirebbe astenersi su un monocolore del Pp, ponendo come condizione che non sia Rajoy a guidarlo.
Quest’ultima ipotesi potrebbe riaprire i giochi tra i socialisti. Alcuni settori del Psoe – per esempio la potentissima federazione dell’Andalusia – vedono come fumo nell’occhio l’accordo con Podemos che, a loro dire, sposterebbe troppo a sinistra la collocazione del partito.
Il puzzle spagnolo resta in queste settimane perciò aperto a più soluzioni, di cui la più probabile è il ricorso a nuove elezioni. Comunque vada a finire, restano sul campo due buone notizie. La prima: Sánchez non ha ceduto alle pressioni (dall’influente quotidiano El País agli ex premier socialisti González e Zapatero) che gli chiedevano di astenersi su Rajoy in nome dell’unità nazionale e del «senso di responsabilità».
La seconda: Iglesias non ha chiuso in modo pregiudiziale il rapporto con i socialisti. Ne verrà qualcosa di positivo per il futuro della sinistra?