Corriere 11.9.16
La crisi dei laureati: ultimi in Europa, siamo fermi al 13%
di Federico Fubini
La
Commissione Ue mostra che l’Italia nel 2013 ha una delle quote di
abbandono universitario più alte in Europa (45%), e una delle più basse
di laureati fra i 30 e i 34 anni. Nella distrazione generale, il Paese
sta vivendo un’esperienza che ne mette in pericolo il ruolo nella
competizione globale dei prossimi decenni: l’istruzione superiore è
arrivata alla crescita zero. Per la prima volta dal 1945 il numero dei
laureati disponibili per le imprese sta smettendo di crescere. E aumenta
il numero dei laureati italiani che lascia ilnostro Paese. Germania,
Gran Bretagna e Svizzera sono le prime destinazioni chehanno assorbito
un terzo dei nostri migranti.
Manuela Croatto, una funzionaria
dell’Università di Udine, ha capito che un diaframma invisibile era
caduto il giorno in cui ha letto questo post su Facebook: «Ho mentito ai
miei sulla laurea e ora il passo più grande è inscenare la discussione
della tesi. Mi rivolgo a quanti di voi sono nella mia stessa situazione:
se qualcuno volesse organizzare la propria proclamazione, potremmo
organizzare una finta cerimonia». Presto sono arrivate le risposte: «Mi
trovo nella stessa situazione» o «Vi prego aiutate anche me, sono
disperata». Croatto, che gestisce l’orientamento per gli studenti, di
recente ha trovato anche un sito di consigli su come far credere ai
genitori che assisteranno a una vera discussione di tesi. Tre volte
negli ultimi tempi si è dovuta occupare di ragazzi intrappolati nelle
loro storie di lauree fittizie. Il rettore di Udine, Alberto De Toni, ha
finito per offrire un servizio dell’ateneo per la consulenza
psicologica a chi entra in questo labirinto di bugie.
Questi sono
sintomi acuti, però non isolati. La Commissione Ue mostra che l’Italia
nel 2013 ha una delle quote di abbandono universitario più alte in
Europa (45%), e una delle più basse di laureati fra i 30 e i 34 anni.
Nella distrazione generale, il Paese sta vivendo un’esperienza che ne
mette in pericolo il ruolo nella competizione globale dei prossimi
decenni: l’istruzione superiore è arrivata alla crescita zero.
Il sorpasso polacco
Per
la prima volta dal 1945 il numero dei laureati disponibili per le
imprese sta smettendo di crescere. Resta fermo ai livelli più bassi nel
confronto internazionale, mentre altri Paesi a reddito alto o
medio-basso hanno imboccato la direzione opposta. L’Ocse di Parigi
mostra che la popolazione laureata in Francia o in Germania cresce
almeno il doppio più in fretta che in Italia e la sua incidenza è già
molto superiore (vedi grafico). In Polonia nel 2014 vivevano 5,6 milioni
di diplomati delle università, come in Italia, ma il sorpasso ormai è
inevitabile. In Irlanda o in Corea del Sud l’intensità dell’istruzione
superiore nella società è tripla, e in aumento costante. Non è solo un
fenomeno dei Paesi avanzati. La Cina nel 2014 aveva già 74 milioni di
laureati e ai ritmi attuali tra non molti anni quattro cinesi su dieci
usciti dai licei si iscriveranno all’università; a metà del prossimo
decennio la Repubblica popolare potrebbe raggiungere una quota di
laureati superiore al 13% di questo Paese. Il rischio che il sistema
industriale italiano si trovi spiazzato ben oltre l’universo del basso
costo è tutt’altro che remoto: economie dove il lavoro resta più a buon
mercato stanno iniziando a competere nella conoscenza, nelle tecnologie,
e sulla parte alta del valore aggiunto.
Fuga all’estero
Non
è questa, per la verità, la storia che emerge dalle statistiche
ufficiali. Sulla base dei dati Istat, la Fondazione Leone Moressa di
Mestre mostra che l’incidenza dei laureati nella popolazione italiana
starebbe in effetti continuando a crescere: dal 12,9% del 2014 al 13,3%
dell’anno scorso. L’istituto statistico italiano non mente, però dispone
di informazioni incomplete a causa della difficoltà di tenere il conto
dei laureati italiani che si trasferiscono all’estero. Proprio questo è
uno dei fattori che contribuisce di più alla crescita zero
dell’istruzione superiore nel territorio nazionale.
L’Istat stima
che negli ultimi anni aveva una laurea circa una persona ogni quattro
fra quelle hanno lasciato l’Italia per lavorare altrove. Più difficile
per l’agenzia è però calcolare l’entità di questi deflussi, perché la
qualità dei suoi dati dipende da una scelta che molti non compiono se
non dopo molti anni di emigrazione: iscriversi all’Anagrafe degli
italiani residenti all’estero. L’Istat può tenere conto di loro solo in
quel momento, eppure alcuni indizi permettono di misurare che le uscite
dal Paese sono probabilmente circa tre volte più delle 145 mila stimate
nel 2015. Germania, Gran Bretagna e Svizzera sono le prime destinazioni
per gli italiani che espatriano e, secondo le statistiche ufficiali,
negli ultimi anni hanno assorbito circa un terzo dei nostri migranti.
Chi arriva in Germania, nel Regno Unito o in Svizzera deve registrarsi
subito per poter ottenere il codice fiscale, l’assistenza sociale o il
medico di famiglia, anche se non si cancella dall’Italia. E i numeri
sugli immigrati italiani in mano alle amministrazioni di Berlino, Londra
e Berna sono in media tre volte e mezzo più alti di quelli che registra
l’Italia. La Germania è il caso più estremo: secondo l’Istat sono poco
più di 17 mila le persone trasferitesi verso la Repubblica federale nel
2014, ma l’omologa agenzia tedesca ne conta oltre quattro volte di più.
Istruiti ma poveri
Questi
dati permettono di stimare ragionevolmente che in un anno come il 2015
siano usciti dall’Italia circa 100 mila laureati, ne siano entrati circa
27 mila (su 273 mila nuovi arrivati nel Paese) e altri 65 mila siano
morti. Con queste forze in azione, i 212 mila nuovi diplomi dell’ultimo
anno — stima Alma Laurea — basterebbero a far salire la quota di
laureati sulla popolazione italiana di appena lo 0,12%. C’è però un
problema: i 50 mila iscritti in meno all’università in questi anni
produrranno presto una flessione nel flusso dei nuovi diplomi e questa
può portare il tasso di crescita dei laureati allo
zero-virgola-zero-qualcosa. Nel frattempo le tecnologie nei sistemi
produttivi globali si fanno sempre più sofisticate, i concorrenti
dell’Italia sempre più decisi a dominarle. Per un giovane, la scelta di
smettere di studiare può apparire razionale: il salario medio d’ingresso
di un laureato triennale è crollato da 1.300 euro del 2007 a 1.004 euro
del 2012, se e quando trova lavoro. Ivano Dionigi, presidente di Alma
Laurea, sottolinea quanto sia paradossale che un bene scarso come la
conoscenza in Italia venga remunerato tanto poco. Di certo, sulla scala
di un Paese sta diventando un atto di masochismo collettivo: in Italia
solo le imprese più aperte al contributo dei laureati — come dimostra un
nuovo studio di Fadi Hassan del Trinity College e altri — stanno
tenendo il ritmo della competizione con il resto del mondo. Le altre
molto meno.