il manifesto 11.9.16
Italicum fatto e disfatto, con la regia dell’ex
Legge
elettorale. Napolitano adesso vede i difetti della «sua» legge. Renzi è
pronto a cambiarla. Guardando alla Consulta. L'ex capo dello stato ha
nominato cinque giudici costituzionali, compresi presidente e relatore
di Andrea Fabozzi
ROMA
Il giorno in cui il suo successore al Quirinale Sergio Mattarella
firmò, molto velocemente, la nuova legge elettorale, Giorgio Napolitano
dal suo studio di senatore a vita commentò: «È un raggiungimento
importante, era inevitabile approvare l’Italicum che del resto non è
arrivato in un mese ma in oltre un anno». Tutti i giornali riportarono
con evidenza questa benedizione dell’ex capo dello stato e nessuno ci
trovò niente di strano. Era stato lui con i suoi discorsi pubblici
contro le «zavorre», le «paralisi» e i «frenatori» a spingere il
parlamento ad approvare questa riforma elettorale assieme alla legge di
revisione costituzionale.
Era stato lui a voltarsi dall’altra
parte quando il governo forzava i lavori parlamentari, sostituiva
parlamentari «dissidenti» in commissione e quando le opposizioni
salivano al Colle per protestare o gli rivolgevano pubblici appelli. Ed
era stato ancora lui, nel gennaio 2015, ad aiutare il governo ritardando
di due settimane le sue annunciate dimissioni, in modo da consentire –
prima dell’elezione di Mattarella in seduta comune e prima dunque della
rottura tra Renzi e Berlusconi – il decisivo e delicato passaggio
dell’Italicum in senato.
Ieri Giorgio Napolitano ha spiegato al
direttore di Repubblica che ci sono diversi aspetti dell’Italicum che
«meritano di essere riconsiderati». Non solo. Ha invitato Renzi ad
assumere un’iniziativa, «una ricognizione tra le forze parlamentari per
capire quale possa essere il terreno di incontro per apportare modifiche
alla legge elettorale». Ha sottolineato il difetto secondo lui
principale dell’Italicum: «Si rischia di consegnare il 54% dei seggi a
chi al primo turno ha preso molto meno del 40% dei voti». E ha indicato
una possibile soluzione: «C’è in questo momento una sola iniziativa sul
tappeto, è di esponenti di minoranza del Pd tra i quali Speranza». Si
tratta di una proposta per modificare il vecchio Mattarellum in senso
ulteriormente maggioritario. Ma si tratta della stessa minoranza Pd che
aveva contrastato all’epoca l’Italicum, sentendo il presidente della
Repubblica Napolitano tuonare contro le «spregiudicate tecniche
emendative» in difesa dell’integrità dei testi del governo.
Durante
l’ultimo passaggio dell’Italicum alla camera dei deputati, tra l’aprile
e il maggio dello scorso anno, i bersaniani del Pd tentarono di
introdurre nella legge elettorale un quorum minimo per accedere al
ballottaggio, di recuperare gli apparentamenti al secondo turno, di
cancellare le pluricandidature. Con l’appoggio delle opposizioni
avrebbero potuto farcela. Il momento era delicato. Il senatore a vita
Napolitano si fece risentire con poche parole: «Guai se si ricomincia da
capo». Il governo mise la fiducia – mossa clamorosa e secondo molti
costituzionalisti illegittima – la legge elettorale passò nella forma
che Napolitano, oggi, vuole modificare.
E vuole modificare perché,
ha spiegato a Repubblica, «rispetto a due anni fa lo scenario politico è
mutato… nuovi partiti in forte ascesa hanno rotto il gioco di governo
tra due schieramenti» si rischia «che vada al ballottaggio chi al primo
turno ha ricevuto una base troppo scarsa di legittimazione col voto
popolare».
Ed è così: la legge pensata per il bipolarismo e
sull’onda del Pd al 40% alle elezioni europee del 2014, può essere
sperimentata per la prima volta (perché è applicabile da appena un paio
di mesi, malgrado sia stata imposta al parlamento a tappe forzate) in un
quadro pienamente tripolare. Ha ragione l’ex capo dello stato, solo che
il bipolarismo che era fortissimo all’epoca della sua prima elezione al
Quirinale, nel 2006, era già completamente svanito all’epoca della sua
seconda, nel 2013. I 5 Stelle erano una realtà forte quanto e anzi molto
di più del centrodestra anche prima che Napolitano inaugurasse la sua
regia sulle riforme, con il Letta e con Renzi. Napolitano non se n’era
accorto? Può darsi, del resto era stato lui stesso a negare l’evidenza
del successo grillino alle amministrative precedenti. «Non vedo nessun
boom» fu la sua frase celebre.
L’intervento di Napolitano,
malgrado tutto, potrebbe essere ancora una volta decisivo. Il presidente
del Consiglio, che fino a qui aveva aperto timidi spiragli, concede
immediatamente la sua piena e «sincera» disponibilità a cambiare la
legge. Lo fa con un’intervista al TgNorba (era a Bari, a inaugurare la
fiera del Levante). «L’Italicum non piace? E che problema c’è – dichiara
lo stesso Matteo Renzi che sull’Italicum ha messo la fiducia –
discutiamolo, approfondiamola, ma facciamo una legge elettorale migliore
di questa».
Dietro di lui, e dietro Napolitano, è come se si
aprissero le cateratte del cielo. Un po’ tutti gli esponenti di
maggioranza che l’anno scorso giuravano sulla perfezione dell’Italicum,
sono prontissimi a cambiarlo – si notano in particolare i ministri
Franceschini e Alfano – e tutti lo fanno raccomandando un dibattito «non
strumentale». Ma è evidente l’interesse del governo, che di certo non
riuscirà a cambiare la legge elettorale prima del referendum, ma che in
questo modo offre l’impressione di una disponibilità che può aiutarlo a
recuperare consensi per il Sì.
E poi c’è un altro aspetto: il
punto che – adesso – Napolitano critica della legge elettorale è proprio
uno dei due che la Corte costituzionale sarà chiamata a giudicare il 4
ottobre. Se le questioni di incostituzionalità avanzate dagli avvocati
coordinati da Besostri dovessero essere accolte dalla Corte, la legge
sarebbe migliorata eppure resterebbe una brutta legge. Il compromesso è
evidentemente appoggiato da Napolitano, che quando era al Quirinale ha
nominato cinque degli attuali giudici costituzionali (un terzo),
compresi presidente (Grossi) e relatore (Zanon).