il manifesto 10.9.16
Una misoginia mai sconfessata
Festivaletteratura
. Domani a Mantova Paolo Ercolani, autore di «Contro le donne»
presenterà il suo libro insieme a Giuliana Sgrena
di Alessandra Pigliaru
Il
termine «pregiudizio» è assai insidioso, sia nell’etimo che nelle sue
ricadute teorico-pratiche. Produttore di danni, esclusioni e conseguenti
ancorché legittime rivendicazioni, il terreno che precede il giudizio è
infatti abbastanza articolato. Altrettanto dicasi a proposito della
solida impronta dello stereotipo che, nella sua fissità, riporta
all’immobilismo dei ruoli e delle relative sorti che avrebbe l’ardire di
prevedere e traghettare. Di questo e molto altro è imbastito l’ultimo
volume di Paolo Ercolani, Contro le donne (Marsilio, pp. 318, euro
17,50) che sostanzialmente si attesta nel piano intermedio di quel
pensiero critico veicolato attraverso un linguaggio divulgativo, cioè
leggibile da tutte e tutti.
Non si tratta quindi di un
approfondimento esclusivamente scientifico (e questo è un bene),
l’esercizio di Paolo Ercolani è invece rivolto soprattutto a quanti si
potranno riconoscere, con un pizzico di divertito sadismo quando non di
schizzinosa ritrosia, nelle osservazioni di filosofi del calibro di
Aristotele o san Tommaso ma anche Hegel. E ancora più avanti, ça va sans
dire, perché l’elenco come è noto a chi ha studiato o letto qualche
classico inserito nel canone occidentale, è piuttosto generoso. Il
pericolo in agguato è tuttavia insito nelle stesse modalità in cui
l’odio maschile nei confronti delle donne ha preso corpo per poi
storicizzarsi; perché pesca proprio da un immaginario, anche detto di
sottocultura scadente – simbolicamente ed emotivamente – che a
ripercorrerne la storia non sposta niente. Certo si può sistemare in un
prima e un dopo in linea di una qualche utilità di «censimento critico»
ma resta inerte, non scassina niente di quel pregiudizio a cui vorrebbe
dare battaglia. A parte il tentativo di riaffermare, ce ne fosse
bisogno, un desiderio paritario e automoderato per cui «le donne»,
bistrattate dalla storia e dall’altro sesso, sono delle svantaggiate da
riabilitare e risarcire in tutti i modi possibili. E hanno pari dignità e
pari libertà e sono pari in tutto, insomma. Come se cioè
all’emancipazione facesse seguito di necessità la libertà ed esistessero
«le donne» e «gli uomini», potendone discettare collettivamente quali
appartenenti a una specifica categoria o macro-area di riferimento.
Da
un punto di vista culturale è tuttavia molto utile sapere, soprattutto
per chi non ha frequentato i decenni di produzione critica femminista,
lo ha fatto maldestramente o in nome di un saccheggio più o meno
consapevole, in che temperie ha attecchito la misoginia. Al centro è
infatti quell’odio quasi senza rimedio che andrebbe decostruito
rinunciando a una parte dell’esposizione mediatica «esperta» e
praticando esperienze relazionali di senso. O decidendo di fare proprio
di quelle narrazioni, a partire da sé, il tessuto di una discussione
pubblica e quindi politica. Da un punto di vista cronologico, è pur vero
che il baratro che si presenta è agghiacciante e il volume di Paolo
Ercolani ha il merito di averlo messo in luce, con gli strumenti della
collazione testuale e di un tragitto storico-culturale a cui tra l’altro
viene allegata una vasta e utile bibliografia – in molti casi riportata
all’interno del libro e in altri come sfondo teorico.
L’autore
presenterà il suo libro al Festivaletteratura di Mantova domani, insieme
a Giuliana Sgrena che parlerà del proprio «Dio odia le donne» (Aula
magna dell’Università, ore 17)