il manifesto 10.9.16
Il rebus della manovra tra pensioni e contratti
I conti. Trenta miliardi potrebbero non bastare. Camusso (Cgil): «Patrimoniale e piano straordinario per l'occupazione»
Mentre
i primi ministri dell’Europa del Sud sono impegnati nel mini vertice di
Atene, e si prepara quello di tutta la Ue la settimana prossima a
Bratislava, in Italia continuano a fiorire le ipotesi e gli scenari
sulla legge di Bilancio. In particolare negli ultimi giorni è sotto
osservazione il capitolo pensioni: lo stesso premier Renzi, qualche
giorno fa da Porta a Porta, ha manifestato l’intenzione di intervenire.
Resta
per ora confermata (ma ricordiamo che circolano solo bozze informali)
l’estensione della quattordicesima per i pensionati: dagli attuali 1,2
milioni di beneficiari si passerebbe a una platea di circa 2,4 milioni,
per una spesa intorno agli 800 milioni di euro. Invece di 80 euro
mensili, ne arriverebbero in tasca al pensionato circa 50, e non è
ancora chiaro se in unica soluzione o mese per mese.
Capitolo più
complesso quello relativo all’Ape, l’ormai famoso prestito che il
pensionato dovrebbe contrarre con un istituto di credito per poter
abbandonare in anticipo il posto di lavoro (si evita così di modificare
la legge Fornero, lasciando sostanzialmente intatti tutti i parametri). I
sindacati, consultati a un tavolo aperto con il ministro del Welfare
Giuliano Poletti, hanno più volte insistito sul punto che non debbano
essere i pensionati stessi a rimetterci. Si studia così un sistema che
annullerebbe qualsiasi costo per chi avrà un assegno fino a 1500 euro
lordi, e che invece imponga un sacrificio crescente per chi ha diritto a
trattamenti più ricchi. Al prestito verrebbe affiancata una polizza che
tuteli la banca in caso di morte prematura del cliente. Il costo per
questo intervento non è ancora definito, ma dovrebbe aggirarsi tra i 600
e gli 800 milioni di euro (o di più, in caso si voglia ulteriormente
caricare sullo Stato a favore dei pensionati).
Altri interventi a
cui si pensa sono quelli in favore dei lavoratori precoci (riguarderebbe
tra le 60 mila e le 70 mila persone l’anno, e potrebbe arrivare a
costare 1,5-1,8 miliardi), la ricongiunzione gratuita dei contributi
versati in enti previdenziali differenti (almeno 500 milioni). Infine,
si risponderebbe a una richiesta che il sindacato già fa da tempo:
ovvero allineare la no tax area dei pensionati a quella dei lavoratori
dipendenti (costo previsto: circa 300 milioni).
Un capitolo che,
come si vede, richiede già notevoli risorse (stando bassi almeno 2,5-3
miliardi di euro), e che si andrà a sommare a quello dei contratti del
pubblico impiego (chiedono aumenti per circa 7 miliardi, per ora sul
piatto ci sono solo i 300 milioni stanziati già nella legge di Stabilità
dell’anno scorso).
Ci sono anche da considerare i circa 15
miliardi necessari per neutralizzare le clausole di salvaguardia, e le
risorse da dedicare agli interventi sul fisco (Ires, Iri, indirizzati
alle imprese), senza contare che anno per anno vanno finanziati gli 80
euro e gli incentivi per le assunzioni. La manovra al livello più basso
dovrebbe limitarsi a 25 miliardi, ma è facile pensare che si debba
arrivare almeno fino a 30, magari grazie a uno sconto Ue sulla
flessibilità (che si sta negoziando).
E la crescita? E la
necessaria e urgente messa in sicurezza contro i terremoti, quello che
per il governo dovrebbe essere «Casa Italia»? Di necessità di
investimenti pubblici e per l’occupazione parla la Cgil, che martedì
prossimo presenterà il suo Piano straordinario per il lavoro.
«Bisognerebbe intervenire sui patrimoni per reperire risorse per un
piano del lavoro per i giovani, che è la vera emergenza del Paese –
spiega Susanna Camusso alla Stampa – Ridurre fortemente le tasse a
lavoratori dipendenti, ai precari e discontinui, ai pensionati. Ma non
ci pare sia questa l’intenzione».