Corriere La Lettura 25.9.16
La collezione di due secoli sequestrata da Lenin
Sergei
Ivanovich Shchukin era il più importante imprenditore russo d’inizio
Novecento e aveva raccolto 256 capolavori, da Cézanne a Gauguin, da
Monet a Picasso. I bolscevichi gli requisirono le opere. Che in ottobre
tornano a Parigi alla Fondation Louis Vuitton
di Stefano Bucci
Chi
era Sergei Ivanovich Shchukin? Il ritratto che ci restituisce di lui,
il più importante industriale russo del suo tempo nato il 27 maggio 1854
a Mosca e morto in esilio a Parigi il 10 gennaio 1936, il (forse) non
troppo celebre pittore norvegese Christian Cornelius Krohn ce lo mostra
assai elegante e composto, barba e capelli grigi, braccia conserte,
sguardo tranquillo, marsina impeccabile. Proprio come si conviene al
terzo dei dieci figli di Ivan Vassily (self-made man venuto su dal
nulla) e Ekaterina Petrovna Botkin (erede di una grande famiglia di
mercanti di tè), che dopo aver frequentato la Scuola d’Impresa Gera in
Turingia aveva preso il controllo dell’azienda di famiglia dopo la morte
del padre nel 1890, sposato Lidia Koreneva (un cospicuo patrimonio di
miniere in Ucraina) e avuto quattro figli (Ivan, Grigori, Sergei,
Ekaterina). E che alla fine (per passione e forse per certificare
definitivamente il proprio successo) si era scoperto persino l’animo da
collezionista d’arte. Ma quella tranquillità è solo un’apparenza. Perché
il ritratto «ufficiale» di Shchukin firmato dal norvegese Krohn è del
1916 e pochi mesi dopo la Rivoluzione avrebbe annientato l’intero
universo di Sergei. A cominciare dalla collezione che lui stesso aveva
messo insieme, a partire dal 1908, nelle sontuose stanze di Palazzo
Troubetzkoy. Qualche cifra: 8 Cézanne, 13 Monet, 16 Gauguin, 16 Derain,
37 Matisse, 50 Picasso. Otre a Renoir, van Gogh, Lautrec, Pissarro; ai
nabis di Denis; ai fauves di Vlaminck; ai cubisti di Braque; alle opere
di Puvis de Chavannes e Henri Rousseau. E poi le sculture africane in
legno e bronzo, i dipinti dalla Cina e gli oggetti di arte applicata dal
Medio Oriente che dimostrano la sua particolare (e modernissima)
attenzione al naïf e al primitivo.
L’8 novembre 1918 un decreto
del Commissario del Consiglio del Popolo, firmato da Lenin, avrebbe
dunque dichiarato che la «storica Galleria Shchukin, sita in Bolshoy
Znamensky pereulok n. 8 e tutto il suo contenuto sono di proprietà del
popolo e sarà tenuta in custodia per l’educazione del popolo».
L’inventario, effettuato dal conte Michael de Keller, genero di Sergei e
marito della figlia Ekaterina, avrebbe all’epoca contato 256 pezzi.
Dopo l’annessione il palazzo Trubetzkoy «e tutto il suo contenuto»
sarebbe stato rinominato Museo di Stato di Pittura Occidentale n. 1
(GMNZJ) ma la collezione sarebbe stata divisa (nel 1948) tra il Museo
Hermitage e il Museo Pushkin, diventando per lungo tempo (a causa delle
guerre e dei regimi) in pratica invisibile.
La mostra ora curata
da Anne Baldassari che la Fondation Louis Vuitton inaugura a Parigi il
22 ottobre riporta idealmente in vita negli spazi progettati da Frank
Gehry il mondo di Shchukin. Sono 160 le opere esposte in questo viaggio
incredibile tra i capolavori che Sergei aveva messo insieme solo per
passione: il Dessert di Matisse (1908), L’homme à la pipe di Cézanne
(1890-92), la Danseuse dans l’atelier du photographe di Degas (1875). In
un allestimento che vuole evocare da una parte l’architettura del
Palazzo Troubetzkoy (che poteva contare su «stanze private» per Gauguin e
Picasso) e dall’altra, grazie all’installazione multimediale di Peter
Greenaway e Saskia Bodeke, il mood di quel tempo.
«Uno degli
aspetti interessanti della figura di Shchukin — spiega a “la Lettura “
Anne Baldassari — è che collezionava contro il gusto della sua classe
sociale e, in qualche modo, della sua epoca. Partendo dal principio che
gli artisti derisi dalla critica e dalla borghesia, come Cézanne o
Matisse, avevano necessariamente ragione e che compito del mecenate era
seguirne le decisioni, accompagnandoli e aiutandoli nella loro
creazione. Senza limitarsi più alla contemplazione e alla speculazione,
con Sergei, il collezionista diventa un militante dell’arte». Proprio
per questo, Shchukin avrebbe regolarmente aperto la sua collezione ( e
il suo palazzo) al pubblico. «Proprio per questo — aggiunge Baldassari —
avrebbe acquistato anche opere che non capiva: come la Donna con il
ventaglio di Picasso del 1909 che per lungo tempo sarebbe rimasta
confinata in un corridoio, senza essere degnata del minimo sguardo».
Fino a quando non avrebbe (finalmente) deciso di credere in Picasso e di
promuoverlo «comprando 50 tra le sue opere più importanti».
Come
accade ai visitatori del museo Nissim de Camondo a Parigi è però la
storia «privata» della famiglia Shchukin a colpire. Una storia in cui si
intrecciano con regolarità arte, sentimenti e dolori. Tra il 1897 e il
1907 la collezione si arricchisce di 13 Monet (compresa la versione
completa di Déjeuner Sur l’Herbe ), 8 Cezanne (compreso il Mardi Gras ) e
16 Gauguin tahitiani (che sarebbero stati appesi fianco a fianco nella
sala da pranzo, in uno stile che ricordava quello delle icone
ortodosse). Ma nel 1905 la famiglia sarebbe stata anche travolta da un
primo, inaspettato dramma: quello del figlio più giovane, Sergei,
suicida in un fiume ghiacciato. Due anni più tardi, nel 1907, dopo la
morte della moglie, Sergei Shchukin parte così per un pellegrinaggio
perché, convinto di essere responsabile delle proprie disgrazie, «voleva
ridare un significato alla sua vita», dal Cairo attraversando il
deserto del Sinai alla volta del Monastero di Santa Caterina, sulla
montagna di Mosè.
Una volta ritrovata la pace, l’arte sarebbe di
nuovo tornata in cima ai pensieri di Sergei: durante una visita a
Parigi, Ambroise Vollard lo presentò a Leo e Gertrude Stein, che gli
avrebbero fatto conoscere il mondo di Matisse e Picasso, un mondo che
non lo salverà dalla tragedia successiva, quella della morte del
fratello più giovane, Ivan Ivanovich. Dall’acquisto della natura morta
di Matisse Piatto su un Tavolo nel 1906, trentasette tele e un disegno
si sarebbero aggiunti alla collezione, compresa la Camera Rossa (1908),
il Laboratorio Rosa (1911), Ninfa e Satiro (1908), il Café Marocchino (
1913).
I nuovi Matisse e i primi Picasso arrivavano a Palazzo
Troubetzkoy, ed ecco l’ennesima tragedia: il terzo figlio Grigori
suicida con un colpo di revolver. Intanto anche Mosca non riusciva più a
capire cosa stesse facendo Shchukin: tanto che si vociferava che la
tragedia avesse trasformato la sua mente e che avesse indotto il
collezionista a un folle amore per scarabocchi e imbrattature, opere
d’arte solo di nome. Nonostante questo Sergei avrebbe acquistato (tra il
1910 e il 1914) altri 16 capolavori di Matisse, compreso il Chevalier X
, e due collage di Picasso Composizione con fetta di pera , 1914, e
Composizione con grappolo d’uva e fetta di pera , 1914. Ma sarebbero
davvero gli ultimi: la dichiarazione di guerra interruppe di fatto tutti
i servizi postali tra la Russia e la Francia e gli ultimi due Matisse (
Donna seduta su uno sgabello e Studio con pesci rossi) furono prenotati
ma non entrarono mai a far parte della collezione.
Nell’agosto
1918, l’addio (definitivo e in silenzio) alla Madre Russia: Sergei
Ivanovich Shchukin parte in treno, con il figlio Ivan, per unirsi alla
nuova moglie Nadejda Affanassievna e alla figlia Irina. Separando
definitivamente il proprio destino da quello della collezione (che
avrebbe perso assieme al palazzo). Nel 1923, ormai esule a Parigi,
Sergei revocò anche il suo ultimo testamento in cui lasciava la
collezione alla città di Mosca. Per condurre una vita tranquilla fino
alla morte, nel 1936, circondato da opere di Raoul Dufy, Henri Le
Fauconnier e Pedro Pruna. Ma con il cuore sempre chiuso nelle stanze di
Palazzo Troubetzkoy.
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dell’arte moderna. La Collezione Shchukin è il titolo della mostra
curata da Anne Baldassari per la Fondation Louis Vuitton di Parigi che
ricostruisce la collezione di Sergei Shchukin (1854-1936). L’esposizione
è in programma dal 22 ottobre al 20 febbraio 2017 nella sede della
Fondation Louis Vuitton (8 avenue du Mahatma Gandhi, Bois de Boulogne,
75116 Parigi; Info Tel: + 33 1 40 69 96 00;
www.fondationlouisvuitton.fr). In mostra 160 opere della collezione
provenienti dall’Hermitage di San Pietroburgo e dal Pushkin di Mosca più
due opere di Matisse (oggi al Moma di New York e al Musée National
d’Art Moderne di Parigi) acquistate e mai consegnate a causa della
guerra. Sotto: Christian Cornelius Krohn, Ritratto di Sergei Shchukin
(1916). Nella pagina accanto, da sinistra: Henri Matisse, La Desserte.
Harmonie en rouge (1908); Paul Gauguin, Aha oe feii? (1892).