domenica 25 settembre 2016

Corriere La Lettura 25.9.16
Niente macerie: il falso è un bene
di Carlo Bertelli

Il castello di Berlino fu demolito nel 1950. Era ritenuto «simbolo del militarismo prussiano» e, per questo, ne fu decretata la cancellazione. Prima, però, si era chiesto il parere al titolare della cattedra di Storia dell’arte, il professor Gerhard Strauss, il quale dette via libera alla demolizione asserendo che il castello era un falso storico. Gli avrei obiettato che qualunque edificio storico è comunque falso, così come ognuno di noi, a una certa età, tra protesi dentarie e medicine, è «falso». Del castello di Berlino è ora in corso la ricostruzione su progetto dell’architetto vicentino Franco Stella, il quale ha distinto nettamente l’architettura nuova dalla anastilosi (ovvero «la tecnica di restauro con la quale si rimettono insieme, elemento per elemento, i pezzi originali di una costruzione distrutta») di quella di origine. Che, per essere una ricostruzione, non è veramente l’originale, bensì la percezione di ciò che l’originale è stato (Husserl aveva preso proprio il castello di Berlino come esempio d’un oggetto percepito). La chiarezza mediterranea dell’architettura di Stella non fa nessuna concessione agli stili imitativi. Il castello non sarà mai «dove era e come era» e la sua architettura risponderà a una concezione della storia assai meno manichea di quella dei suoi demolitori. In un Paese sconvolto dai terremoti e dove ancora tante rovine urbane prodotte dalla guerra non hanno trovato il modo d’inserirsi nel nostro presente, Berlino, dalla cupola del Reichstag disegnata da Forster fino al nuovo affaccio del vecchio castello sulla Sprea, diventa un osservatorio quanto mai interessante. E qui le domande si accavallano. Per esempio: riusciremo mai a colmare, nel profilo di una città come Pavia, la perdita della torre civica? Mentre preme l’assillo delle abitazioni e del ritorno alla vita di comunità, sarà interessante guardarsi intorno e riflettere. D’altronde, persino Ground Zero non è stato lasciato come il muto messaggio di un vuoto urbano.