Corriere la Lettura 18.9.16
Incrocio dopo incrocio , resta soltanto l’uomo
Il
concetto di razza può essere utile per selezionare artificialmente la
razza chianina ma se applicato agli umani, non è di nessuna utilità
pratica, nemmeno in medicina, checché se ne dica
di Claudio Tuniz
Il
presidente della maggiore potenza planetaria ha la pelle scura ma
questo non significa che il problema del razzismo sia risolto o che non
ci siano discriminazioni razziali. Leggiamo dell’escalation della
polizia nell’uccidere afroamericani, anche se essi non contribuiscono,
secondo le statistiche, all’aumento della criminalità. Essi
costituiscono circa la metà della popolazione carceraria statunitense.
La detenzione degli aborigeni nelle carceri australiane è ancora più
marcata.
Ci sono molti Paesi popolati da persone con pelle scura e
lineamenti diversi. Negli ultimi secoli è proprio lì che siamo andati
ad attingere molte delle risorse utili al nostro sviluppo: dagli schiavi
al petrolio, dalle terre rare agli altri elementi chimici che sono alla
base delle tecnologie dell’informazione. In seguito alle nostre
incursioni e interferenze, le condizioni di vita di queste popolazioni
non sono certo migliorate, e oggi molti gruppi si spostano anche per
questo.
La cosa non piace agli attuali discendenti degli africani
che avevano abbandonato quel continente tanti anni fa (e che ora si
chiamano europei o americani). Alcuni propongono di alzare muri e
barriere di filo spinato. Molti leader occidentali alimentano la paura
degli «altri» per generare consensi politici. Spesso si basano
sull’esistenza di presunte diversità razziali. Il nuovo libro di Guido
Barbujani, Gli africani siamo noi (Laterza), nato in occasione del
Festival della Mente di Sarzana del 2015, ci fa riflettere su come la
diversità umana sia stata usata, negli ultimi secoli, per lo
sfruttamento e la sopraffazione.
Barbujani, genetista delle
popolazioni di fama mondiale, punta il dito su quegli scienziati che
hanno fornito giustificazioni allo schiavismo e al colonialismo o che
hanno scritto a supporto di ideologie razziali aberranti, creando le
basi per genocidi e sofferenze che durano ancora. Il libro usa le ultime
scoperte della genetica per illustrarci, con stile leggero e
accattivante, come si sia evoluto il cespuglio delle diverse forme
umane, di cui noi siamo soltanto l’ultima (e ormai unica) espressione.
Il nostro Dna ci parla di un passato in cui, grazie a un’elevata
mobilità, ci siamo sempre incrociati fra gruppi diversi, non disdegnando
nemmeno altre specie umane. Essendo quindi il risultato di tutti questi
incontri planetari, le nostre differenze genetiche sono minime. Ma
siccome viviamo da molte generazioni in ambienti diversi, si sono
selezionate alcune caratteristiche fisiche legate in parte alla
sopravvivenza in quegli ambienti. Conclusione: siamo tutti diversi l’uno
dall’altro ma non è dall’aspetto che si capisce come e quanto.
Il
concetto di razza può essere utile per selezionare artificialmente la
razza chianina ma se applicato agli umani, non è di nessuna utilità
pratica, nemmeno in medicina, checché se ne dica. È forse il momento di
buttare l’idea nella buona vecchia pattumiera della storia.