Corriere 7.9.16
Roma
Un bus su due resta in garage
Nella città paralizzata circolano poco più di 1.100 mezzi su 2.500
di Sergio Rizzo
Tutto
 si può dire, tranne che non sapessero. Da mesi nell’assessorato della 
«Città in movimento», o come si chiamava prima dell’avvento grillino, 
piovevano relazioni, lettere, avvertimenti. L’ultimo, il 30 agosto. Ci 
sarebbero stati giorni difficili anche in superficie, oltre che 
sottoterra, diceva il direttore dell’Atac Marco Rettighieri. Problemi di
 manutenzione, di pezzi di ricambio… Beccandosi per tutta risposta 
dall’assessora Linda Meleo, all’apice della crisi, un tweet al curaro: 
«Ecco l’eredità di Rettighieri. 200 mezzi in meno rispetto ai 1.400 
programmati…».
Lunedì a Roma circolavano 
1.150 autobus. Martedì si era saliti a 1.190. Meno della metà del parco,
 che si aggira intorno ai 2.500 mezzi. In una capitale europea con pochi
 chilometri di metropolitana, che peraltro funzionano a singhiozzo. In 
pieno Giubileo. E lunedì riaprono le scuole.
Di
 chi è la colpa? Perché colpe ci sono eccome. Ma difficilmente una 
persona sola, anche se è il direttore generale, può fare un danno simile
 in nove mesi. L’Atac è con ogni probabilità l’azienda pubblica più 
scassata d’Italia. Più scassata, se possibile, dei suoi autobus. Che 
hanno l’abitudine di scassarsi prevalentemente il 27 di ogni mese oppure
 dopo le elezioni a cui partecipano come scrutatori centinaia di suoi 
dipendenti. Il top, però, si registra quando il capo del personale 
assume qualche iniziativa indigesta, come il blocco di 50 promozioni 
concordate con il sindacato: allora s’ingolfano gli iniettori, fanno 
crac gli ammortizzatori, saltano le turbine come niente fosse. Si è 
arrivati a superare quota 800, un giorno. Un terzo dell’intero parco 
mezzi, metà di quelli circolanti.
Vogliamo 
mettere anche questo sulle spalle di Rettighieri, che il prefetto 
Francesco Paolo Tronca aveva spedito all’Atac per metterci almeno una 
toppa in vista del Giubileo? E ci vogliamo aggiungere le 111.664 ore di 
«agibilità sindacale» concesse nel 2015, ben 11.283 più di quelle 
effettivamente concedibili: come se l’Atac pagasse 82 persone per 
lavorare altrove? E i 16,7 milioni pagati per le gomme, il doppio del 
previsto, a un fornitore di cui è direttore un dirigente dell’Atac in 
aspettativa? E la barca di quattrini impegnati in modo quantomeno 
discutibile per una sede faraonica nella periferia romana?
Colpe
 ne ha Rettighieri, eccome. Per esempio aver fatto la guerra ai 
sindacati, che osservavano in qualche caso apertamente con favore 
l’ascesa di Virginia Raggi. Arrivando alla decisione di revocare accordi
 non scritti che per quarant’anni hanno garantito al dopolavoro in mano 
ai sindacalisti la gestione di mense e bar aziendali.
E
 certo le cose non migliorano con la fine del commissariamento. L’acme 
si raggiunge quando Rettighieri decide di spostare il dirigente Federico
 Chiovelli: cugino, secondo la ricostruzione pubblicata dai giornali, 
dell’assessora grillina del Municipio XV Paola Chiovelli. Lo scambio di 
colpi è virulento e Rettighieri non esita ad accusare Linda Meleo di 
ingerenze nella gestione dell’azienda. Con una lettera così dura che 
qualcuno si spinge a ipotizzare che stia cercando l’incidente.
Ma
 il suo destino è segnato già durante la campagna elettorale: troppo 
impopolare quella guerra al sindacato, in un’azienda dove sono 
sindacalizzati in 8.899 su 11.687.
Il 
direttore scelto da Tronca getta la spugna di fatto insieme a Marcello 
Minenna, l’unico che lo difende. Venerdì prossimo è l’ultimo giorno di 
lavoro. In una situazione oggettivamente drammatica. Che fare? A mali 
estremi, si dice, estremi rimedi. Magari ricorrendo ai privati: il 
consorzio Tpl costituito fra alcuni trasportatori romani e una società 
pubblica umbra, che da una decina d’anni gestisce per un centinaio di 
milioni l’anno pagati dal Campidoglio (oltre ai costi dell’Atac), alcune
 linee periferiche. Fantascienza? Un’ipotesi forse assurda, com’è 
assurdo tutto questo. Però quelli hanno nei cassetti un lodo arbitrale 
che impone al Comune di versargli 115 milioni: un’arma letale.
L’amministratore
 Armando Brandolese deve invece aspettare il sostituto: l’ingegnere 
nucleare Manuel Fantasia, titolare del 5 per cento di una società di 
consulenza aziendale. Nominato con urgenza a ridosso delle dimissioni 
dei vertici, non ha ancora messo piede in azienda. Né l’assemblea che 
dovrebbe insediarlo è stata convocata. I prossimi giorni, in assoluto i 
più delicati, l’azienda rischia dunque di affrontarli senza timoniere. O
 con un timoniere inesperto e spaesato. Scelta che peraltro ha già fatto
 storcere la bocca ai sostenitori della campagna #Saichivoti per la 
trasparenza delle nomine pubbliche a cui aveva aderito anche Virginia 
Raggi. Adesione a parole, si è lamentato Federico Anghelè di Riparte il 
futuro, visto che Fantasia è stato scelto esattamente come hanno sempre 
fatto i partiti… Ma il Movimento 5 Stelle non le aveva scomunicate, 
certe pratiche?