Corriere 7.9.16
Doppia identità 
Raja Alem: Sotto il velo, ma non siamo più in una gabbia
il vero nemico resta la paura
di Alessandra Coppola
Le
 donne saudite esistono. «Non siamo fantasmi — dice Raja Alem —, senza 
voce né capacità di imprimere dinamismo, di spingere il cambiamento nel 
Paese e nel Medio Oriente. A dispetto di tutti i pregiudizi, il nostro 
respiro si sente». La scrittura «come sfida», allora, «e allo stesso 
tempo come una sorta di trionfo. Essere la voce che dice: noi 
esistiamo».
Nata alla Mecca 46 anni fa e 
oggi residente a Parigi, pluripremiata autrice (tra gli altri, l’Arabic 
Book Prize 2011), Alem conserva la memoria della città santa nell’arabo 
classico e raffinatissimo che ha scelto di usare, nelle atmosfere, nei 
vicoli, nei protagonisti che si muovono nei suoi romanzi. «Non sarei 
quella che sono se fossi cresciuta altrove — racconta —: è stato un 
allenamento a superare i miei limiti». L’accesso alla cultura, per 
cominciare. «Era come un acquario, così lontano dall’Oceano… I libri non
 erano disponibili, io e mia sorella li portavamo di contrabbando 
dall’Europa durante i nostri viaggi con la famiglia». Al tempo stesso, 
la Mecca «era come un mare: una confluenza di mondi nella stagione del 
pellegrinaggio, che mi ha fatto incontrare costumi, cibi, linguaggi 
diversi». Infine, la Storia, «le sue antiche radici accanto alla 
modernità: i miei libri sono i luoghi in cui questa mescolanza si 
manifesta».
L’ultimo lavoro portato in 
Italia è Khatem. Una bambina d’Arabia (tradotto da Federica Pistono, 
edito da Atmosphere Libri, sarà presentato a Pordenonelegge, a Palazzo 
Gregoris, venerdì 16 settembre alle 16.30). Prende il titolo dalla 
protagonista, nella Mecca dei primi del ’900, ragazzina che esce di casa
 solo in abiti maschili. Nell’immaginario occidentale l’Arabia Saudita 
per una donna resta una gabbia. È così? «Il libro si conclude nel 1938 —
 risponde la scrittrice —. Il mondo di Khatem era completamente diverso 
da quello attuale. L’Arabia Saudita è vasta quanto un continente, ci 
sono parti ancora conservatrici, che isolano le donne e sopprimono i 
loro diritti, ma la gran parte del Paese è un’altra, anche se bisogna 
portare il velo in strada. Sotto il velo — continua Alem — c’è una forza
 di cambiamento, le donne avviano imprese, assumono incarichi di 
responsabilità, spingono lo sviluppo della scena culturale. Il primo 
museo è stato fondato da una donna, e così la prima galleria d’arte. 
Duecentomila giovani sono stati mandati all’estero con borse di studio e
 di questi il 40 per cento sono ragazze: immaginate che cosa porteranno a
 casa tornando dall’Europa, dagli Stati Uniti o dalla Cina… Ovviamente 
ci sono limitazioni, forse più che altrove non tutto è rosa, ma stanno 
lottando e conquistando libertà».
Una volta 
all’anno, almeno, Alem viaggia a Gedda, dove ha studiato, si guarda 
attorno, registra «quasi una rivoluzione in corso». Anche se, è lei 
stessa ad ammetterlo, le visite in Arabia Saudita «sono per me una sorta
 di ritiro. Quando vivevo lì ero come un eremita, dedicavo la maggior 
parte del tempo a scrivere. A Parigi investo una buona porzione del mio 
tempo a vivere». Musei, centri culturali, le passeggiate sul Lungosenna:
 «Provo un senso di leggerezza, mi sento come un uccello che non ha 
bisogno di aiutanti. In Arabia Saudita si prendono cura di me, è una 
bella sensazione. Ma a Parigi mi godo la mia individualità».
L’estate
 francese è stata segnata dal dibattito sul burkini, il costume da bagno
 «integrale» bandito da alcune spiagge. Alem l’ha seguito con 
preoccupazione: «L’essenza dell’Europa è la democrazia, la libertà di 
espressione nelle sue varie forme; quando si mettono in questione i 
vestiti che si indossano mi sembra un passo indietro nella scala 
democratica. Capisco quando la legge chiede di mostrare il volto in 
luoghi pubblici, ma permettere alla paura di farci derogare ai nostri 
principi è una regressione. Coloro che hanno condotto gli attacchi 
terroristici in Europa, del resto, non indossavano nessun segno 
religioso, all’apparenza erano cittadini ultramoderni…». A chi teme per i
 diritti delle donne, a chi si preoccupa per un’emigrazione massiccia da
 Paesi in cui le conquiste femminili sono ancora scarse, Alem risponde: 
«Non c’è difesa se non allontanando per prima la paura. I nostri diritti
 non sono così sottili da poter essere spazzati via da qualunque vento, 
sono tanto solidi quanto noi permettiamo loro di essere. Il vero nemico 
resta la paura».