Corriere 6.9.16
Oltre alla data il vero tema è il doppio ruolo del premier
di Massimo Franco
Era
inevitabile che il ritardo nella fissazione della data del referendum
istituzionale da parte del governo diventasse un’arma impropria nelle
mani dei sostenitori del No. E il fatto che probabilmente si voterà
nella prima domenica di dicembre permette di accusare Matteo Renzi di
avere paura della macchina messa in moto proprio da lui. La campagna
referendaria è agli inizi, e non è chiaro come si svilupperà. Palazzo
Chigi rimane sulla difensiva, incalzato soprattutto dai suoi avversari
dentro il Pd: una divaricazione che declassa il tema a una resa dei
conti interna.
Ma la controffensiva partirà prima del 13 ottobre,
termine ultimo per fissare il voto. L’insidia maggiore si annida nel
ruolo del segretario-premier; e nella difficoltà che Renzi incontra a
«spersonalizzare» il referendum. Deve smontare l’identificazione tra la
consultazione e la propria sorte, diffusa nell’opinione pubblica e
soprattutto tra gli oppositori. E ci sta provando, sostenendo che il
problema è già risolto. Eppure fatica a divincolarsi da quella «logica
del plebiscito» espressa incautamente quando riteneva la vittoria
scontata: anche perché non è riuscito a trovare una persona che
rappresenti il «Sì» schermando il suo ruolo.
Ora politicizzano la
consultazione quanti lo vogliono ridimensionare, se non addirittura far
cadere. E si vede quanto sia a doppio taglio evocare il disastro se
vincono i No. Da un lato, si tende a dire agli elettori che se vengono
bocciate le riforme il governo rischia di cadere, con contraccolpi
europei devastanti. Dall’altro, si alimenta l’immagine di un’Italia
sull’orlo dell’ennesimo fallimento. Va riconosciuto a Palazzo Chigi di
avere attenuato questo allarmismo nelle ultime settimane; e di usare
toni meno aggressivi.
Trovare una posizione equilibrata non è
facile, però. Parlare di «contenuti» referendari, come ripete Renzi
anche per schivare le polemiche sulla data, non può prescindere dagli
aspetti politici. E metterli troppo in ombra, oltre che complicato, può
dare ragione al No quando sostiene che in caso di bocciatura delle
riforme non accadrebbe nulla di irreparabile. Forse rimarrebbe Renzi, o
forse no ma «non si andrebbe a elezioni anticipate», dichiara sornione
l’ex premier del Pd, Massimo D’Alema, lanciando i «comitati per il No»; e
ironizzando sulla «sgradevole furbizia» del mancato annuncio della
data.
Beppe Grillo ha già ideato un hashtag intitolato
«RenziFissaLaData del referendum!». E insinua che il ritardo nasca
dall’«inconfessabile speranza di recuperare due voti con le mance della
legge di Stabilità». FI non è da meno. E l’altalena estiva sul voto
referendario, indicato inizialmente per il 2 ottobre, ha trasmesso una
sensazione di incertezza e indecisione. A quanti lo accusano di proporre
riforme autoritarie, Renzi replica che «il referendum non riduce la
democrazia ma le poltrone... Basta un sì». Per risalire la china e
vincere davvero, però, ci vorrà altro.