Corriere 6.9.16
L’Occidente che vede il declino e non sa più come fermarlo
di Franco Venturini
Il
G20 di Hangzhou, povero di risultati come tutti i vertici troppo
affollati, è stato invece ricco di avvertimenti per un Occidente in
pieno declino sulla mappa geopolitica del mondo. L’inventario delle
battute d’arresto ascrivibili allo schieramento transatlantico non può
che cominciare dalla potenza occidentale per eccellenza, l’America.
Obama era arrivato in terra cinese, per l’ultima volta da Presidente,
convinto di poter strappare a Putin una tregua in Siria e a Erdogan un
rilancio dei rapporti tra Washington e Ankara.
Sulla Siria
l’intesa con il Cremlino si è rivelata impossibile perché Putin non ha
voluto o potuto accettare una richiesta-chiave degli Usa: Assad doveva
rinunciare all’uso della sua aviazione nella zona di Aleppo e poi nel
resto del Paese. Quanto a Erdogan, non sarà una ambigua dichiarazione di
Obama sul castigo dei golpisti di luglio a fargli cambiare direzione.
In Siria la Turchia combatte l’Isis ma soprattutto allontana a cannonate
i curdi filo-americani del Ypg, che sono ormai da anni il surrogato di
quella fanteria che gli Usa non vogliono mettere in prima persona sul
terreno.
Due motivi di imbarazzo per Obama, che ha ormai
pochissimo tempo per risalire la china. Se non ci riuscirà (i contatti
continuano) la quinquennale carneficina siriana e l’atroce sacrificio di
Aleppo peseranno come macigni sull’ormai imminente tempo dei bilanci.
Obama rischia di essere visto come il Presidente che ha «perso il Medio
Oriente», anche se a perderlo davvero è stato George W. Bush. Ma tant’è:
una eredità pesantissima attende, speriamo, Hillary Clinton, e non sarà
facile per lei ristabilire da quelle parti la credibilità di una
America che oltretutto non ha più bisogno di petrolio.
E che dire
dell’Europa? Il G20 è stata una passerella malinconica, con la
britannica signora May impegnata a rassicurare i giapponesi che causa
Brexit minacciavano di trasferire altrove le loro fabbriche di
automobili, con la germanica signora Merkel che tentava di dissimulare
il colpo ricevuto nelle elezioni del Meclemburgo-Cispomerania, con il
presidente del consiglio Tusk che sollecitava una improbabile
solidarietà sull’accoglienza dei rifugiati. Il solo a sorridere era
ancora Erdogan, consapevole di tenere in pugno la Cancelliera tedesca e
il resto della Ue perché nella stagione elettorale appena cominciata il
libero transito dei migranti dalla Turchia avrebbe l’effetto di
orientare ancor più nettamente i responsi delle urne in Germania, ma
anche in Olanda, in Francia, in Austria, forse in Italia.
A
proposito, se l’Occidente declina dove dovremmo collocare questa Turchia
diventata arbitro delle crisi che ci affliggono? Nella Nato, cui
appartiene? Tra gli amici o tra i nemici potenziali dell’America? Tra
gli amici o tra gli avversari prossimi dell’Europa? La polvere del
dopo-golpe non si è ancora posata, ed è probabile che Erdogan, al di là
delle dichiarazioni aggressive, non intenda tirare troppo la corda con i
suoi alleati occidentali. Anche per raccogliere i vantaggi che già gli
vengono dall’equilibrismo geopolitico, ora che è grande amico della
Russia e che si accinge a chiedere l’appoggio di Putin per stabilire
quella no-fly zone nel nord della Siria che è diventata possibile con
l’avanzata dei carri armati di Ankara.
Non declina, di sicuro, la
Cina che ha ospitato il G20. La sua crescita non è più quella di una
volta, ma non è crollata come prevedevano interessati osservatori
occidentali. Piuttosto, le ambizioni di Pechino nel Mar Cinese
Meridionale sembrano essere indifferenti alle condanne americane come a
quella della Corte dell’Aja, e Xi Jinping lo ha detto a un frustrato
Obama che provava a strappargli qualche promessa di buona condotta.
E
non declina più di tanto la Russia, che pure è alle prese con una grave
crisi economica dovuta più al crollo delle quotazioni del petrolio che
alle sanzioni occidentali per l’annessione della Crimea. Anzi, Putin è
diventato protagonista centrale della crisi siriana, ha portato Erdogan
dalla sua parte e ha buon gioco nell’indicare che non è soltanto lui il
responsabile della guerra strisciante in Ucraina.
Resteranno
queste, le linee di tendenza dei prossimi anni? La necessità di
individuare strumenti per il controllo delle crisi regionali esige che
non sia così. L’America è necessaria, e ha ragione Robert Kaplan quando
dice che un declino americano sarà sempre relativo. L’Europa deve
salvarsi, elettori e migranti permettendo. Russia e Cina devono essere
tanto forti da accettare anche compromessi scomodi. Deve nascere, in
definitiva, un ordine multipolare capace di gestire le tensioni di un
dopo-Muro che è stato sin qui sinonimo di stragi e di impotenze.
Comprese quelle del G20.