Corriere 6.9.16
D’Alema carica il fronte del No alla riforma: se vinciamo addio al partito della nazione
«L’Italicum resta, la minoranza ne tragga le conseguenze». Renzi sul voto: lo fisseremo entro il 13 ottobre
di Monica Guerzoni
ROMA
«Non perdiamoci di vista. Non solo da qui al referendum, ma anche
dopo...». Dal palco del cinema Farnese, a due passi dalla sede della
Fondazione ItalianiEuropei, Massimo D’Alema sprona i 300 che affollano
la sala (e i tanti rimasti fuori) con una citazione di Nanni Moretti,
che sembra confermare la suggestione di un nuovo movimento politico:
«C’è bisogno di uno spazio di partecipazione in cui si possa sentirsi
orgogliosi di essere militanti della sinistra, del centrosinistra e del
mondo cattolico democratico».
A indagare il futuro con
l’applausometro, il dado di una rottura insanabile parrebbe tratto. Ma
l’ex premier promette che non tornerà in politica, la sua sfida a Renzi
riguarda la salute di un «sistema democratico profondamente indebolito» e
non il Pd, non la leadership della sinistra. «Non siamo qui per
dividere il Pd» assicura D’Alema. Se ha deciso di lanciare i suoi
Comitati del No e buttarsi in una «campagna impegnativa» è perché la
riforma del Senato è «un pastrocchio che spacca il Paese». Due gli
obiettivi dichiarati, spazzar via il partito della nazione e costringere
il governo a rottamare l’Italicum. Una legge nata da una «maggioranza
trasformista, che non aveva il mandato per cambiare la Costituzione».
Nel Pd sono in tanti a dare per scontata la scissione, in caso vinca il
Sì. Ma D’Alema per ora frena: «Ci sono quelli che restano, come il
sottoscritto... Non faccio partiti né correnti. Come ha affermato il
presidente del Pd, vige la legittimità dell’opinione in dissenso».
Il
suo dissenso nei confronti di Renzi è totale, tanto che il ministro
Andrea Orlando lo accuserà di fare «propaganda». D’Alema smonta nel
metodo e nel merito una riforma che «introduce di nascosto un
presidenzialismo di fatto» e porta dal bipolarismo perfetto al
«bipolarismo confuso». Quindi ironizza sulla crescita economica sfumata e
sulle «riforme sbagliate». L’Italicum? «È una manutenzione del
Porcellum». La riforma Boschi? «Un mostriciattolo». Applaudono nomi
della sinistra che fu come Cesare Salvi, Pietro Folena, Stefano Passigli
e Vincenzo Vita, venuto a nome del Comitato di Zagrebelsky e Pace. Per
Sinistra italiana ci sono D’Attorre e Scotto. E poi parlamentari di oggi
e di ieri come Giorgio Merlo, Maura Cossutta, Elettra Deiana, Angelo
Capodicasa, Mario Barbi. Ecco tre senatori dem schierati sul fronte del
No: Massimo Mucchetti, Lucrezia Ricchiuti, Paolo Corsini. Carlo Freccero
se la gode: «È un D’Alema fondativo... Renzi è finito». C’è Roberto
Zaccaria, già presidente della Rai e deputato del Pd. Ma Bersani e
Cuperlo non sono venuti. «Non sono deluso — sdrammatizza D’Alema —. Il
premier non cambierà l’Italicum, spero che la minoranza del Pd tragga le
conseguenze».
Renzi dalla Cina ha confermato che il Cdm fisserà
la data «nei prossimi giorni, a norma di legge entro il 13 ottobre». Ma
per D’Alema è tardi: «Trovo sgradevole che il governo non la decida. Una
furbizia». Per lui a palazzo Chigi siede un tecnocrate delle
istituzioni, che governa a colpi di «algoritmi e formulette» e rifila
agli elettori «paccottiglia ideologica». Ma non chiedetegli perché abbia
ingaggiato uno scontro personale: «Non mi piace questo giochino di
D’Alema contro Renzi. Se c’è un duello tra noi è Renzi che lo ha
promosso». Un D’Alema carico, tagliente. Parla di una «rete
organizzata», le cui maglie dovrebbero intrecciarsi con quelle della
Cgil. Annuncia che il presidente del Comitato sarà l’ex senatore dei Ds
Guido Calvi, che da avvocato difese Pasolini, l’anarchico Valpreda e lo
stesso D’Alema, nella vicenda Unipol. E quando il leader anticipa che
nel Comitato ci saranno «molte personalità della cultura», in sala corre
voce che si stia cercando l’adesione di un «celebre scrittore
anticamorra» .