Corriere 30.9.16
Nella campagna anti premier torna il partito della nazione
di Massimo Franco
Gli
ottant’anni di Silvio Berlusconi stanno diventando l’ennesima occasione
per un tiro al bersaglio contro Matteo Renzi. Nella minoranza del Pd,
l’accostamento tra il fondatore di Forza Italia e l’attuale premier è
quasi automatico. E il paradosso è che nell’analisi dei due personaggi,
gli stessi Dem tendono a rivalutare il loro avversario di sempre; e in
parallelo sono tentati di demonizzare proprio il capo del governo e
segretario del loro stesso partito.
La battuta di Renzi su un
referendum istituzionale che «si vince a destra», è stata accolta dagli
oppositori interni come la conferma di uno «snaturamento» della
sinistra. Ha risuscitato l’idea di un «partito della Nazione» con
l’appoggio parlamentare di Denis Verdini e con i consensi di pezzi
dell’elettorato in fuga da FI: un sospetto rinato soprattutto dopo il sì
verdiniano alla mozione governativa su una modifica dell’Italicum. È
uno degli effetti distorti di una campagna che si gioca non solo sul
filo dell’incertezza, ma della resa dei conti nel Pd.
L’ex premier
Massimo D’Alema sostiene che «il berlusconismo continua con Renzi»; e
invece, adesso dà atto a Berlusconi di essere diventato «un politico di
razza». Quanto all’ex segretario Pierluigi Bersani, ironizza sul premier
al quale ha sentito dire che «per lui le uniche bandiere rosse sono
quelle della Ferrari». Se a questo si aggiungono le critiche per avere
trasformato il referendum «in un giudizio di Dio: errore clamoroso», e
la volontà di votare No, lo scontro è totale. Perfino sul M5S le analisi
divergono. I renziani continuano a martellare contro la sindaca di
Roma, Virginia Raggi. Bersani chiede di darle tempo e, se è necessario,
anche una mano.
L’impressione è che gli oppositori interni puntino
sulla sconfitta delle riforme e su un governo meno ostile al movimento
di Beppe Grillo. Palazzo Chigi descrive una manovra «con un obiettivo
nobile: buttare giù il governo», dice Renzi al Foglio . «Chi guida la
coalizione del No al referendum lo fa perché è interessato solo alla mia
persona. Sono loro che personalizzano, non io». Il tentativo è di
rovesciare l’impostazione iniziale data alla campagna referendaria; e
che adesso cerca di correggere in corsa, avvertendone i rischi.
Il
passaggio interessante, tuttavia, è quello in cui Renzi accenna alle
elezioni politiche, rinviando la sfida a quell’appuntamento; e
appellandosi «all’elettore di destra», perché «quei voti saranno
decisivi». Lo schema tende a dare per scontato il Sì di «larghissima
parte della sinistra». Se anche la destra si decide a votare «sul
merito», dice, il gioco è fatto. Scorrendo le parole della minoranza del
Pd, e il No di M5S, Lega e FI, però, l’analisi convince solo in parte.
Anche perché i contenuti del referendum stanno evaporando in una nuvola
di tensione sempre più tossica.