Corriere 30.9.16
Ungheria e Italia
Due referendum sotto gli occhi dell’Ue
di Maurizio Caprara
Se
ci si scandalizza dell’interesse internazionale verso il referendum che
si terrà in Italia il 4 dicembre per la riforma del Senato, allargare
lo sguardo può aiutare a comprendere i motivi di questa attenzione.
Comunque si giudichi una recente pronuncia dell’ambasciatore
statunitense John R. Phillips — ha previsto in caso di vittoria del No
un «passo indietro» degli investimenti di aziende americane nel nostro
Paese — è bene ricordare un vecchio proverbio ed evitare di guardare
troppo l’indice perdendo di vista la luna mentre viene indicata.
Malgrado
i nostri affanni, le circostanze attuali assegnano al nostro Paese un
ruolo fondamentale di sostegno per l’intera struttura dell’Unione
Europea, più necessario di prima. Questo avviene in una stagione nella
quale equilibri comunitari, soggetti a pericolose corrosioni, potrebbero
risultare scossi non soltanto a causa dell’avviarsi della Gran Bretagna
verso l’uscita dell’Unione.
Lo si proclami o no, in numerosi
Stati alleati e tra soggetti di rilievo nell’economia si ritiene che
un’eventuale bocciatura delle modifiche costituzionali nel voto del 4
dicembre in Italia avrebbe due effetti. Primo, una fase di instabilità
dagli esiti imprevedibili. Secondo, dimostrerebbe una irriformabilità
dei meccanismi decisionali del nostro Stato. Preoccupazioni del genere
sono accentuate anche perché si avvicinano per l’Ue prove delicate e la
prossima è in un Paese finora trascurato dal dibattito politico
italiano: l’Ungheria.
Domenica prossima otto milioni di ungheresi
sono chiamati a votare in un referendum dal quale può derivare un altro
schiaffo all’Ue dopo la consultazione popolare del giugno scorso sulla
cosiddetta Brexit nel Regno Unito. In apparenza la questione sulla quale
l’elettorato deve esprimersi è circoscritta: i rifugiati. In realtà il
referendum ungherese si configura come tentativo di costruire una testa
d’ariete contro i doveri comunitari. E non è l’unica tra le insidie
interne ed esterne per l’Ue.
Soltanto nella notte dell’8 novembre,
per elencarne alcune, si saprà se il prossimo presidente degli Stati
Uniti non sarà o sarà il repubblicano Donald Trump, molto sconveniente
per l’Ue. Il 4 dicembre in Austria una nuova tornata elettorale dovrà
stabilire se il capo dello Stato sarà l’indipendente dei verdi Alexander
van der Bellen o il populista Norbert Hofer del xenofobo Fpo, sconfitto
per un soffio in maggio in votazioni poi annullate.
Nel 2017 in
Olanda nelle elezioni del 15 marzo potrebbe rafforzarsi il Pvv, partito
euroscettico e anti-islamico. Se risultasse il più votato ciò non
sarebbe un aiuto alla compattezza europea, anche se non sembra probabile
che governi o che riesca a farlo da solo. In Francia il primo turno
delle presidenziali sarà il 23 aprile: la candidatura
dell’anti-europeista Marine Le Pen è oggi una delle rare certezze. In
settembre sarà la volta del voto in Germania. Per inciso, quanti in
Italia descrivono Angela Merkel come causa di ogni male sappiano che
difficilmente un diverso cancelliere tedesco sarebbe meno «austero» di
lei, anzi.
In questo contesto non è irrilevante se un’Italia con
un debito pubblico al 132,7% del Prodotto interno lordo, di un Pil che
da troppi anni cala o non cresce di tanto, entra o non entra in una fase
di avvitamenti politici del quale non si intravedono gli sbocchi.
In
Ungheria il referendum è sulle quote di extra-comunitari che richiedono
asilo nell’Ue. L’Unione nel 2015 decise che 120 mila di queste persone
presenti in Italia e Grecia, malmesse al punto di aspirare al titolo di
rifugiato, andavano distribuite in vari Stati membri. Al governo
ungherese di Viktor Orban non è bastato opporsi alla ripartizione,
frenata anche da altri tanto è che dei richiedenti arrivati in Italia ne
sono stati ricollocati fuori fino ad adesso 1.156 e dei presenti in
Grecia 2.033. Bersaglio è l’attuazione di decisioni comunitarie.
La
domanda del referendum voluto da Orban è di per sé sbilanciata: «Volete
che l’Unione Europea abbia il potere di introdurre permanentemente in
Ungheria non ungheresi provenienti da Paesi terzi, senza il consenso del
Parlamento?». A Budapest la Costituzione, spiega un dossier del
Servizio Studi di Palazzo Madama, esclude referendum su «ogni
obbligazione derivante da trattati internazionali», eppure il quesito è
stato ammesso da Corte Suprema e Corte costituzionale ungheresi.
Il
referendum anti-rifugiati, e anti-Ue, risulterà valido se a infilare la
scheda nell’urna sarà stata la metà degli aventi diritto. Nel mondo,
c’è chi pensa all’Italia anche tenendo presente questi altri esami per
un’Unione Europea in difficoltà e con nuovi assetti non ancora definiti.