Corriere 29.9.16
I 6 milioni per il mausoleo di Augusto che la burocrazia rischia di sprecare
di Sergio Rizzo
Roma, il bando del restauro annullato e riscritto. Ora i fondi privati sono in scadenza
La
fiducia incrollabile, che uno con la sua responsabilità deve sempre
avere, fa prevedere a Claudio Parisi Presicce l’apertura certa del
cantiere per la fine di ottobre. Incrociamo le dita insieme al
Soprintendente del Campidoglio ai Beni culturali. Intanto, però, i
giorni passano e quella data si avvicina a grandi passi.
Il
pericolo è quello di perdere per colpa della burocrazia sei milioni di
finanziamento privato destinati a restaurare il mausoleo di Augusto, la
tomba antica più grande dell’umanità dopo le piramidi, edificata nel 28
avanti Cristo per accogliere le spoglie del fondatore dell’Impero
romano. Dettagli che ne fanno uno dei luoghi monumentali più importanti
del mondo occidentale, in pieno centro di Roma: fra via del Corso e
l’Ara Pacis. Peccato che sia chiuso da otto anni, circondato da una rete
metallica e assediato dai capolinea dei bus, in una situazione di
degrado inaccettabile.
In nessun altro Paese al mondo un tale
tesoro archeologico nel cuore della capitale subirebbe un simile
destino. Ma qui, è la cantilena che si sente ripetere, non ci sono i
soldi... Verissimo. Il Comune di Roma, proprietario del monumento,
riusciva a spendere 42 milioni l’anno per affittare a prezzi scandalosi
dai palazzinari i residence dove collocare famiglie che si presumevano
bisognose, e non ha mai trovato quei pochi milioni necessari a
restaurare un bene così prezioso. Denari che peraltro sarebbero anche
tornati indietro con gli interessi, grazie ai turisti.
Finché un
giorno i soldi saltano finalmente fuori. Lo scorso anno la Fondazione
Telecom Italia, ora Tim, mette sul piatto un assegno con molti zeri. Sei
milioni di euro. La Soprintendenza tira un respiro di sollievo. Quei
sei milioni arrivano come una manna dal cielo. Si sommano infatti ai
quattro già faticosamente reperiti dallo Stato e dal Comune, che
dovrebbero servire a cominciare i lavori dopo il disastro del 19 agosto
2014.
Quel giorno succede che il sito archeologico viene
eccezionalmente aperto al pubblico in occasione del bimillenario della
morte di Gaio Giulio Cesare Ottaviano Augusto: ma finisce sott’acqua
perché scoppia una conduttura dell’Acea. La figuraccia cosmica impone
finalmente di intervenire per far cessare lo scandalo. I soldi però sono
pochini: giusto per cominciare, tenendo conto che oltre al mausoleo va
sistemata anche la piazza che versa in condizioni indecenti.
Il 15
marzo 2015 Parisi Presicce dice così al Corriere : «Siamo arrivati al
punto in cui stiamo partendo. Finalmente i soldi per il primo lotto
stanno per essere adoperati per un bando pubblico. Certamente entro la
fine di marzo, e nell’arco di un tempo di tre o quattro mesi, si
potranno avviare i lavori». Di mesi ne passano invece sei e dei lavori
neanche l’ombra. In compenso, ecco i soldi della Fondazione Telecom. Il
sindaco di Roma Ignazio Marino è reduce da quel viaggio a Filadelfia che
segna l’inizio della fine. La battuta di papa Francesco («Marino non
l’ho invitato io...») , le polemiche dei grillini per il costo del
viaggio e lui che esibisce l’elenco dei contributi per Roma racimolati
grazie anche a quella trasferta.
In cima alla lista, anche se con
il viaggio a Filadelfia non c’entrano, ci sono proprio quei sei milioni
di Telecom per il restauro del mausoleo di Augusto. Marino di lì a poco
lascia il Comune e al suo posto c’è il commissario Francesco Paolo
Tronca. I soldi di Telecom invece restano. C’è solo un vincolo: per
poterli utilizzare, i lavori devono partire entro il 31 ottobre 2016.
Il
bando per il primo lotto, quello a cui sei mesi prima ha fatto
riferimento il Soprintendente, è già in moto. Ma i burocrati del
Campidoglio si mettono di traverso, contestando il fatto che la gara sia
stata bandita con il metodo, sensatissimo, dell’offerta più
economicamente conveniente. Sostengono che bisogna procedere invece con
il massimo ribasso. A nulla serve che il Parlamento abbia appena
approvato la legge delega sul nuovo codice degli appalti, che decreta la
morte del massimo ribasso, il cancro dei lavori pubblici made in Italy,
a favore proprio delle offerte più economicamente convenienti. Non
sentono ragioni.
Si deve quindi rifare il bando e come prevedibile
il Comune è sommerso dalle offerte anomale: per l’esattezza, 25. Vanno
esaminate, per poi venire escluse, una a una. Passano mesi e quando si
arriva alla fine e si aggiudica la gara, c’è ancora da far trascorrere
il tempo per gli eventuali (e purtroppo soliti) ricorsi al Tar. Alla
scadenza del 31 ottobre manca soltanto un mese. E chi si domanda come
mai Roma è ridotta in questo stato, ha la risposta.