Corriere 28.9.16
Carlo De Benedetti
«Se passa il No Renzi deve dimettersi»
intervista di Aldo Cazzullo
«L’
Occidente è a una svolta storica: con la nuova crisi economica
imminente e la distruzione della classe media, è in gioco la
sopravvivenza della democrazia — dice Carlo De Benedetti al Corriere —.
Se al referendum vincerà il No, Renzi dovrà dimettersi il giorno dopo.
Ma non lascerà la politica, e dovrà allearsi con Parisi: è inevitabile
che contro i populismi il partito del premier assorba voti e apparati
del centrodestra, ridimensionando la sinistra e Salvini».
«L’Occidente
è a una svolta storica: è in gioco la sopravvivenza della democrazia,
anche a causa della situazione economica e finanziaria. La
globalizzazione, di cui tutti noi, e mi ci metto anch’io, eravamo
acriticamente entusiasti e ci siamo affrettati a raccogliere i frutti,
ha creato una deflazione che ha ridotto i salari della media di tutti i
lavoratori del mondo, e ha accresciuto le ingiustizie sociali sino a
renderle insopportabili. Si sta verificando la previsione di Larry
Summers, l’ex segretario al Tesoro di Clinton: una stagnazione
secolare».
Ingegner De Benedetti, è sicuro che lo scenario sia così negativo?
«Siamo
alla vigilia di una nuova, grave crisi economica. Che aggraverà il
pericolo della fine delle democrazie, così come le abbiamo conosciute».
Addirittura?
«La
democrazia nasce con il declino delle monarchie e della nobiltà e con
l’ascesa della borghesia. Anche in Italia la democrazia si afferma dopo
la guerra, quando si è creata una classe media. Oggi proprio la
progressiva distruzione della classe media mette a rischio la
democrazia; senza che si sia risolto il problema della stagnazione.
Peggiorato dalla folle scelta europea dell’austerity in un periodo di
piena deflazione, il che equivale a curare un malato di polmonite
mettendolo a dieta».
Ma ci sono Draghi e la Fed. La politica monetaria espansiva: il quantitative easing.
«Le
banche centrali hanno tentato di cambiare mestiere: dopo cinquant’anni
in cui il grande nemico era l’inflazione, hanno combattuto la deflazione
secondo le vecchie teorie, creando moneta. Ma così hanno costruito una
trappola. Hanno immesso sul mercato trilioni di dollari, una cifra
inimmaginabile e incalcolabile. Non ci sono più titoli da comprare. Ma
questo, oltre a mettere in ginocchio il settore bancario, non ci ha
fatto uscire dalla stagnazione e dalla deflazione».
Quali possono essere le conseguenze politiche?
«Negli
Usa non si può escludere una vittoria di Trump; anche perché il
candidato democratico è percepito come antipatico, passato, freddo, come
puro establishment».
Com’è stato il dibattito tv, e chi l’ha vinto?
«Deludente. Con una leggera prevalenza di Hillary».
Crede davvero che Trump possa diventare presidente?
«Tre
anni fa, il fenomeno Trump non sarebbe stato possibile. Ancora
all’inizio della campagna elettorale non avrei puntato un dollaro su di
lui. Ora non mi sento più di escluderlo; anche se ovviamente non me lo
auguro. Nei sondaggi è sottostimato: molti si vergognano di dire che lo
votano. Potrebbe conquistare Stati in bilico, come Colorado e Florida. E
anche Stati tradizionalmente democratici, come Pennsylvania e
Michigan».
Cosa rappresenterebbe una sua vittoria?
«Per il mondo occidentale, una tragedia. Il protezionismo americano aggraverebbe la nostra crisi».
E in Europa cosa può accadere?
«In
Francia non si può escludere che diventi presidente Marine Le Pen. Il
padre non poteva farcela: troppo legato a Vichy e all’Algeria francese;
lei sì. Hollande si è sciolto al sole, Sarkozy è un déja-vu che i
francesi non vogliono più. La Spagna è senza governo da un anno, il
Portogallo in bilico, la Grecia è ancora lì perché nessuno ha interesse a
fare davvero i conti. In Polonia vige un nazionalismo di destra.
L’Ungheria è già passata all’estrema destra, l’Austria no ma solo grazie
alla colla delle buste che ha causato il rinvio delle presidenziali.
Una situazione, in alcune parti dell’Est Europa, da anticamera del
fascismo».
Resta la Germania.
«Ma le elezioni tedesche del
2017 costituiscono un bel punto interrogativo, se si estrapolano i
risultati delle recenti amministrative. Nel resto del mondo la
democrazia arretra. Le primavere arabe sono finite con i generali. In
Medio Oriente comanda la Russia di Putin, che si è messo d’accordo con
un altro autocrate, Erdogan. L’unico Paese che continua a crescere è la
Cina di Xi, che compra 70 chilometri di coste in Cambogia per fare il
più grande porto al mondo, costruisce la ferrovia da Shenzhen a Varsavia
e la nuova strada della seta verso l’Occidente. Un’altra svolta
epocale».
E in Italia?
«In Italia, sulla base dei sondaggi, i Cinque Stelle oggi potrebbero vincere le elezioni».
Con quali conseguenze?
«Non
ci voglio pensare. Li ho sentiti in tv da Palermo accusare tutti i
giornali di essere contro di loro. Non è così, i giornali criticano i
comportamenti. Contro la Appendino nessuno ha scritto nulla. Se dopo
quattro mesi la Raggi non ha ancora fatto la giunta, come si può non
criticare? E poi ancora con questa storia dei poteri forti… basta,
davvero».
Ma i Cinque Stelle sono il secondo partito italiano, forse il primo.
«All’interno
del movimento ci sono certamente persone perbene, d’altronde li vota un
terzo degli italiani. È la classe media, che sceglie il movimento come
per una sorta di vendetta verso le élite da cui si sente tradita. Per
disperazione, più che per convinzione. Ho sentito Grillo gridare: “Sono
tornato a comandare io”. Ma per fare cosa? Io non l’ho capito».
La crisi della democrazia può segnare un ritorno al fascismo?
«Semmai,
un nuovo populismo, aggravato dal protezionismo, dal crollo degli
scambi, dalla grande recessione in arrivo. La democrazia è ridotta al
voto; ma il voto è uno strumento, non è la democrazia. Non è detto che
finisca così; possono ancora farcela Hillary, Juppé. E poi c’è il
baluardo dell’economia tedesca, che resta fortissima».
Ha fatto bene o ha sbagliato Renzi a polemizzare con la Merkel e l’Europa?
«Dopo
Bratislava non poteva che arrabbiarsi. Con Ventotene noi italiani ci
siamo illusi di essere entrati in un minidirettorio europeo. In realtà
era una photo-opportunity. La Merkel e Hollande, secondo tradizione,
sono l’unico asse europeo; l’Italia è tagliata fuori. Del resto in
Europa, salvo che al momento della sua creazione, non abbiamo mai
contato nulla. Renzi è stato il primo a tentare di contare qualcosa. Ha
ottenuto 19 miliardi di flessibilità sui conti pubblici; ma ciò non è
sufficiente per far ripartire l’economia. Di fatto restiamo a crescita
zero».
Lei tre mesi fa disse al «Corriere» che al referendum avrebbe votato No, se Renzi non avesse cambiato la legge elettorale.
«Lo confermo».
Quindi voterà No, visto che l’Italicum è sempre lo stesso .
«Se
ci fosse vera volontà politica, ci si potrebbe accordare per una nuova
legge elettorale; ma al momento vedo solo tattica. I Cinque Stelle
vogliono il proporzionale puro, e non mi stupisce: un movimento
populista è sempre contro qualsiasi forma di maggioritario».
Renzi può sopravvivere politicamente a una vittoria del No?
«Se
vincesse il No, Renzi dovrebbe dimettersi il giorno dopo. Anche se non
credo che lascerà la politica. E per fortuna, perché ha dimostrato di
avere energia e qualità».
E Berlusconi?
«Berlusconi aspetta
col cappello in mano. Comunque finisca il referendum, ci guadagna: anche
se vince il Sì, Renzi avrà bisogno di lui. La scelta di Parisi si
spiega così. Insieme, Renzi e Parisi si accorderanno, ridimensionando la
sinistra e restituendo Salvini alle valli che aveva disceso con
orgogliosa sicurezza».
Ma come, lei che auspicava il partito democratico ora battezza il partito della nazione?
«Non
scherziamo, non è certo un mio auspicio; di sicuro per combattere i
populismi appare inevitabile che al partito di Renzi si sommino una
parte dei voti e dell’apparato del centrodestra».
E in economia cosa dovrebbe fare il governo secondo lei?
«Un’operazione
di grande coraggio. Abbattere le imposte sul lavoro. Il lavoro è la
sola cosa che conta; il resto è sovrastruttura. Il lavoro è dignità. Un
Paese in cui manca il lavoro conosce prima o poi turbe sociali e
sommovimenti».
Dove trovare i soldi per abbattere le imposte sul lavoro?
«Certo non in deficit. Con la fiscalità generale, meglio se progressiva».
Una patrimoniale?
«Non
è il nome esatto, perché dovrebbe includere anche i redditi, tranne
quelli da lavoro. L’energia umana è molto più importante del petrolio.
Ad esempio Israele ha un’intelligenza per centimetro quadrato che non
esiste in nessun’altra parte del mondo; con il servizio militare che
serve a educare i cittadini, a farli studiare, a formarli
all’uguaglianza. Un Paese naturalmente socialista».
Governato da anni dalla destra dura, con un partito socialista quasi sparito.
«In
tutto l’Occidente i partiti diventano sempre più evanescenti, anche se
paradossalmente aumenta il loro numero. Non sono crollate soltanto le
ideologie; anche di idee ne sono rimaste poche. Ma vivere nella
continuità è la morte. Se continueremo così, distruggeremo le nostre
società».