martedì 27 settembre 2016

Corriere 27.9.16
L’architetto del futuro
Foster ora pensa agli aeroporti per dronin«serviranno a portare cibo e medicinali»
intervista di Pierluigi Panza

Come un celeste esploratore osserva dall’alto una terra senza confini. E guardando dall’oblò, lui, pilota della Royal Air force e bambino sotto le bombe «che mi facevano piangere», scorge piccoli come foruncoli persino il suo Viadotto di Millau, la sua Swiss Re alla 30 St.Mary Axe, la cupola del Reichstag di Berlino e i suoi aeroporti di Stansted e di Hong Kong. Per Lord Norman Foster (Premio Pritzker nel 1999, Praemium Imperiale Award nel 2000) la terra che ci ospita è il dono più prezioso e a rischio. Altri doni sono stati i suoi maestri e il pensare sempre ai giovani e al futuro. Al Cersaie, questa mattina, terrà con Francesco Dal Co l’incontro «10 on 10: Ten Fosters and Ten others», ovvero un racconto dei progetti che lo hanno segnato.
Quali sono, almeno 5 dei 10 che progetti o figure che l’hanno influenzata? «Il primo è la biblioteca locale di Levenshulme, un sobborgo di Manchester, dove da adolescente ho scoperto le opere di Le Corbusier e Frank Lloyd Wright», racconta tornando ai tempi della formazione, quando inforcava la bicicletta uscendo dalla sua casa in mattoni rossi, a Manchester. «Poi penso ai miei maestri: Paul Rudolph, che mi ha insegnato il valore dell’azione, del fare; Serge Chermayeff, per l’importanza di pensare e analizzare; Vincent Scully, per la capacità di collegare la storia e le sue lezioni per l’oggi; Buckminster Fuller, che ha ci ha insegnato la fragilità del pianeta Terra e l’imperativo morale di fare di più con il meno possibile e, infine, Otl Aicher, un filosofo diventato designer che ha insegnato l’importanza della perfezione dei processi, dallo sbucciare una cipolla alla progettazione di un nuovo carattere tipografico (carattere Rotis)».
Ma ci sono anche edifici che hanno segnato la sua vita professionale. «Il Crystal Palace innanzitutto, opera non di un architetto ma un giardiniere che ha aperto la strada alla progettazione di serre e ha catturato lo spirito della modernità mostrando le industrie e le macchine che avrebbero trasformato la civiltà occidentale. Poi la Manchester Town Hall, un modello di splendore civico del Nord, costruito in pietra, una sequenza di splendidi interni, collegati da corridoi interminabili, con scale intricate: questo è il posto che primo mi ha spinto a pensare all’architettura come a qualcosa che avrei potuto fare. Infine la Barton Arcade, un delicato traforo di ghisa e vetro, con la sua qualità di luce che inonda gli spazi interni della galleria commerciale al di sotto».
Foster è un costruttore naturale. In un filmato per Canal plus lo si vede costruire una barchetta di legno per suo figlio. Recentemente ha costituito anche The Norman Foster Foundation, che aiuta le nuove generazioni di progettisti ad anticipare il futuro. Il primo progetto della Fondazione è stato presentato all’ultima Biennale: il prototipo, in scala reale, di un aeroporto per droni in laterizio. Lo scopo è quello di creare, entro il 2030, un network di Droneport per effettuare consegne di medicinali e generi di primissima necessità in remote località. Come può un pilota amare i droni?
«Quando sono stato avvicinato due anni e mezzo fa da Jonathan Ledgard ho sviluppato un concetto di drone che si lega alla mia esperienza con alianti ed elicotteri. Ho abbozzato un’idea che combinasse decollo verticale, capacità di atterraggio e possibilità di coprire lunghe distanze. Da allora, l’industria ha realizzato un concetto simile».
Foster… quando l’abbiamo visto, infine, impegnato nella più faticosa maratona nordica sugli sci, ci siamo chiesti: dove trova, un uomo del 1935, tanta forza per pensare il futuro?
«Devi chiedere a qualcun altro», risponde.