Corriere 26.9.16
i bersagli sbagliati del premier
Emergenza migranti , un terreno di collaudo per l’unione di domani
di Franco Venturini
L’
impatto dei flussi migratori sta disegnando l’Europa del futuro molto
più delle vaghezze di Bratislava. Con quattro cruciali campagne
elettorali di fatto già in corso in Italia, Olanda, Francia e Germania, e
con Eurostat che conferma come la questione dei migranti sia al primo
posto nelle preoccupazioni dei cittadini della Ue, prima del terrorismo,
prima della disoccupazione, diventa inevitabile che i politici europei,
governi in testa, rincorrano le paure dei loro elettori.
Ecco
allora che si moltiplicano muri e reticolati o almeno severi controlli
alle frontiere, ecco le caute inversioni di marcia dove prima veniva
issata la bandiera dell’accoglienza, ecco il silenzio complice che
accompagna il blocco di questo o quel confine nazionale. E soprattutto
ecco riunioni scandalose come quella di sabato a Vienna, dove i «Paesi
interessati» hanno dichiarato, nelle parole di Tusk, chiusa per sempre
la rotta dei Balcani. Come se le rotte dei migranti non fossero
interdipendenti, come se il problema non fosse di tutti a cominciare
dall’Italia (ma da Roma non sono venute proteste o polemiche). Quello
che appena un anno fa era un durissimo braccio di ferro tra Angela
Merkel che apriva la Germania ai siriani, la Svezia che accoglieva,
l’Italia e la Grecia che salvavano i migranti da morte certa, e
dall’altra parte le fortezze della razza e della religione arroccate
nell’Europa dell’Est, oggi è diventato un consenso strisciante a favore
del «basta migranti».
N on sorprende più che il sistema delle
quote sia miseramente fallito e che dei 160 mila migranti che dovevano
essere «ricollocati» per alleviare il fardello di Italia e Grecia
soltanto 5 mila lo siano stati davvero. Ora la Merkel promette di
rimediare proprio con i rifugiati bloccati in Italia e in Grecia, la
speranza è lecita. Ma non suscita più animati dibattiti nemmeno il fatto
che la Turchia tenga in ostaggio la Germania e altri soci europei
perché una mancata abolizione dei visti nei prossimi mesi potrebbe
indurre Erdogan a «liberare» i circa tre milioni di rifugiati oggi
ancora bloccati sul suolo turco. Tanto, pensa forse qualcuno, la rotta
dei Balcani è bloccata.
Basta guardarsi intorno per capire fino a
che punto l’atteggiamento verso i migranti sia diventato quasi uniforme.
La signora Merkel rifiuta di fare autocritica per evitare un suicidio
elettorale, ma i dissidi nel suo stesso partito e le batoste già
incassate a livello regionale la inducono a ripiegare su una linea più
dura pur ribadendo, come ha fatto a Vienna, che il problema è di tutti e
va risolto con accordi con i Paesi di provenienza. La Cancelliera può
ancora permettersi un accenno di doppio gioco, forte del fatto che gli
arrivi sono più che dimezzati rispetto al milione del 2015 e che le
espulsioni di chi non ha diritto al titolo di rifugiato vengono attuate
con puntualità teutonica.
La Francia di Hollande accetta che gli
inglesi paghino la costruzione di un muro sul loro territorio, attorno
alla «giungla» di Calais. E quanto alle presidenziali di maggio la
competizione si svolge tra la destra estrema di Marine Le Pen e gli
esponenti del centro-destra che la rincorrono. In Olanda si vota a
marzo, e in testa ai sondaggi c’è l’estrema destra anti-migranti e
anti-Europa di Geert Wilders. In Austria il ballottaggio per eleggere il
presidente avrà luogo ai primi di dicembre, favorita l’estrema destra
di Norbert Hofer. La Svezia ha fatto sapere di essere giunta al tetto
della sua capacità di accoglienza. La Spagna si protegge dietro reti
altissime nell’enclave di Ceuta e Melilla, e aspetta di sapere se dovrà
tornare alle urne per la terza volta quest’anno.
E poi c’è il
gruppo di Visegrad. L’Ungheria, la Polonia, la Repubblica Ceca e la
Slovacchia che prima di ogni riunione europea si coordinano tra loro e
poi parlano da blocco a se stante, che rifiutano l’accoglienza di
migranti islamici ma vogliono che i loro cittadini possano andare
liberamente nella Gran Bretagna della Brexit, che ricevono lauti
sostegni finanziari da Bruxelles ma vedono nella Ue una «nuova Mosca» .
E
L’Italia? L’Italia, come la Grecia, ha le mani legate dietro la
schiena. Perché le sue coste sono bagnate da un mare caldo e spesso
tranquillo chiamato Mediterraneo. Dall’altra parte c’è l’Africa delle
mille tragedie, delle guerre, delle dittature, ma anche delle siccità e
della miseria endemica. E ci sono anche quei siriani o afghani che hanno
rinunciato alla rotta balcanica ripiegando su quella libica. O
egiziana, come dimostra la strage dei giorni scorsi per un barcone
sovraccarico.
La geografia ci impone un dilemma tra il soccorso ai
migranti e il loro abbandono a una sicura morte. La scelta è obbligata
per un Paese civile, e dobbiamo essere fieri che l’Italia l’abbia fatta
senza tentennamenti. Ma l’etica non risolve i problemi. Basta dare una
occhiata alle strategie alternative, tanto diverse da quelle di chi deve
pensare soltanto a confini terrestri. Il modello australiano (confinare
i migranti su un’isola fortificata) non si adatta alle isole italiane,
se non altro per le diverse distanze dalla terraferma. Un blocco navale
davanti alla Libia per impedire la partenza dei barconi sarebbe per il
diritto internazionale un atto di guerra, e per renderlo efficace
evitando il dilemma salvezza-abbandono bisognerebbe occupare
militarmente, nel mezzo di una guerra civile, gran parte della costa e
dei porti. Impensabile, a meno che lo faccia l’Europa con il placet
dell’Onu. Aiuti all’Africa, ai Paesi di provenienza? Sì, se si tratta di
ottenere il placet al rimpatrio dei migranti economici. Ma se si
volessero modificare le condizioni economiche locali nel migliore dei
casi ci vorrebbero parecchi anni.
Matteo Renzi ha ragione, quando
si scandalizza perché l’Europa che pensa molto ai Balcani pensa
pochissimo al Mediterraneo. E ha ragione anche quando spiega (semmai
troppo di rado) che nessuno farebbe diversamente al posto suo, perché
per fortuna l’Italia non è ancora pronta a uccidere voltandosi
dall’altra parte. E chi pensa che lo sia, dovrebbe avere il coraggio di
dirlo. Ma il presidente del Consiglio sbaglia bersaglio quando dà
l’impressione di confondere diritti sacrosanti dell’Italia sul tema dei
migranti e richieste di flessibilità contabile o, peggio, scontate
delusioni da «direttorio» che ora saranno forse alleviate dai segnali di
pace di Angela Merkel sull’accoglienza dei rifugiati. E sbaglia, Renzi,
anche quando afferma che l’Italia può fare da sola. Non è così.
Piuttosto, è vero che quello dell’immigrazione potrebbe diventare il
primo e più importante terreno di collaudo delle integrazioni
differenziate di cui tanto si parla. Il pericolo è che per fare sul
serio si debba attendere la fine del 2017. E che per allora non si possa
più fare sul serio.