lunedì 26 settembre 2016

Corriere 26.9.16
Morire per una vignetta uccisi dal fanatismo
di Massimo Nava

Collochiamo l’omicidio del giornalista giordano Nahid Hattar, ucciso ieri ad Amman, mentre si recava in tribunale per rispondere dell’accusa di blasfemia, nella scia di caduti per la libertà di espressione, dall’olandese Theo Van Gogh, dodici anni fa, alla strage della redazione di Charlie Hebdo a Parigi. «Colpevoli» di avere offeso l’Islam, quindi «vendicati» in nome dell’Islam. Per quanto non sia fuori luogo riflettere anche sul senso di provocazioni estreme e della satira religiosa, considerandone le tragiche conseguenze, la condanna non può che essere senza riserve. È in gioco un principio fondamentale di democrazia, che non può fare sconti, nemmeno quando, come nel caso dell’ultima polemica Charlie Hebdo-Amatrice, diventa anche diritto al cattivo gusto.
L’assassinio di Hattar suggerisce tuttavia altre considerazioni che ne delineano una sua specificità, oltre all’estrema gravità. In primo luogo, avviene in Giordania, uno dei Paesi arabi più tolleranti, la cui stabilità è appesa a delicati equilibri religiosi e alla sua ancor più delicata posizione centrale nel Medio Oriente in fiamme. Proprio il re di Giordania aveva partecipato a Parigi alle manifestazioni di solidarietà con le vittime di Charlie Hebdo. Tuttavia, i principi di tolleranza non hanno impedito a un ministro e a un tribunale di perseguire Hattar per una vignetta, peraltro nemmeno firmata da lui, bensì semplicemente condivisa su Facebook.
In secondo luogo, va considerata la figura di Hattar, intellettuale laico, origini cristiane, noto per posizioni controverse, di critica a re e governo, di sostegno al presidente siriano Assad. È un ritratto che potrebbe innescare provocazioni e sospetti dentro e fuori la Giordania, al punto che non si esclude una matrice politica.
Infine la mano assassina, un predicatore radicale, cioè un «esecutore» lucido, di sicuro più consapevole dei tanti giovani terroristi radicalizzati in circolazione. Il passaggio all’atto di un imam è un problema in più : sotto il profilo della prevenzione, delle relazioni fra comunità religiose, di tensioni di cui la Giordania di oggi non ha certamente bisogno.