Corriere 24.9.16
l’Inps, il presidente, la scelta del governo
di Ferruccio de Bortoli
La
 nomina, ormai quasi due anni fa, di Tito Boeri alla testa dell’Inps fu 
una scelta di Renzi sorprendente e opportuna. Sorprendente perché 
l’economista milanese non fa partedi alcun cerchio magico. Opportuna 
perché è persona libera e preparata. 
Conosce in profondità il 
tema. Non si disinteressa, come altri prima di lui, delle dinamiche 
future della previdenza. Il limite è forse nel carattere, per usare un 
eufemismo, un po’ spigoloso. Boeri ha ereditato una situazione a dir 
poco difficile: la fusione a freddo tra Inps, Inpdap (dipendenti 
pubblici) ed Enpals (lavoratori spettacolo e sportivi) che si è risolta 
per ora in una mera sommatoria delle posizioni apicali. Nessuna economia
 di scala. Differenti sistemi di calcolo delle pensioni. Liquidazioni e 
ricongiunzioni più lente. Boeri ha proposto di ridurre le direzioni da 
48 a 36. Lasciandone però 14 a Roma (da 33) e 22 (da 15) sparse per 
l’Italia. Un risparmio che contribuirebbe ad aprire le porte 
all’assunzione di 900 giovani laureati. Verrebbe inoltre cambiato il 
criterio di selezione dei dirigenti (con una commissione esterna di 
valutazione indipendente) e tolto il potere lottizzatorio dei sindacati.
 E qui si sono aperte le cateratte, descritte bene da un articolo sul 
Corriere di Enrico Marro. Boeri è un ottimo economista ma l’arte della 
mediazione e del consenso gli è sconosciuta.
Il direttore generale
 Massimo Cioffi, peraltro portato dallo stesso Boeri, interrompendo una 
prassi di promozioni interne, è stato al centro di un curioso caso.
Dopo
 aver appreso di essere indagato per abuso d’ufficio, si è autosospeso. 
Poi, appena presentata la sua memoria difensiva, ha sospeso 
l’autosospensione. Cioffi, che viene dall’Enel con un contenzioso con 
l’istituto non dichiarato subito, ha un’idea organizzativa diversa. Il 
Consiglio di indirizzo e vigilanza, formato da rappresentanti delle 
imprese e del sindacato, si è messo di traverso. Minaccia di ricorrere 
al Tar. Anche il collegio sindacale, ugualmente politicizzato, è 
contrario. Unica nota, parzialmente positiva, il parere sul piano di 
riorganizzazione della tecnostruttura della Funzione pubblica.
E 
il governo? Silenzio. Nessun atto, nemmeno una telefonata. Boeri forse 
paga nei confronti dell’esecutivo la sua libertà di pensiero. E qualche 
irritazione per le sue dichiarazioni quasi da ministro ombra del Lavoro.
 È favorevole a una certa flessibilità in uscita ma teme l’aumento in 
prospettiva della spesa pensionistica, non condivide l’estensione della 
no tax area. La corresponsione della quattordicesima senza limiti – 
anche per esempio al marito di una manager benestante – lo lascia 
perplesso. L’enfasi su equità, vitalizi e privilegi non ha mancato di 
sollevare polemiche, a volte giustificate.
La riforma della 
governance Inps – che toglie poteri allo stesso presidente – è un 
passaggio qualificante e necessario, non solo per l’istituto. È il banco
 di prova della riforma Madia sulla dirigenza pubblica. La dimostrazione
 che burocrati e sindacalisti non hanno un potere assoluto sulla 
gestione delle pensioni degli italiani.  La cartina di tornasole della 
volontà riformatrice del governo. I casi sono due. O Boeri ha ancora la 
fiducia di Renzi e allora va sostenuto senza indugi nella sua azione di 
rottura di vecchi equilibri e inefficienze. Oppure l’ha perduta e va 
sostituito. Magari spiegando perché.
 
