Corriere 24.9.16
La destra francese divisa e più debole insegue il populismo
di Massimo Nava
S
e il populismo è una malattia involutiva della politica, non c’è
migliore laboratorio della Francia per chi abbia voglia di analizzare
germi, cause, forse rimedi. Da de Gaulle in poi, il sistema
presidenziale a doppio turno si è retto sull’alternativa fra destra
repubblicana/gaullista e sinistra riformista/comunista. Al di là del
numero di partiti e pretendenti all’Eliseo, la scelta al secondo turno
era obbligata: destra o sinistra e rispettivi alleati. Oggi non è più
così. Il tripartitismo si è stabilmente radicato, con l’irruzione sulla
scena del Front National di Marine Le Pen, in testa nei sondaggi e data
per sicura finalista la primavera prossima, con conseguenze non di poco
conto.
Il gioco elettorale e le aspirazioni degli elettori
risultano stravolti. Essere in testa, è meno importante che arrivare
secondi, comunque dietro Marine Le Pen, con la quasi certezza di
spuntarla mettendo insieme, come già in passato, una sorta di «santa
alleanza» repubblicana. Una «santa alleanza» che potrebbe dare qualche
speranza persino al presidente uscente François Hollande, nonostante
l’85 per cento di opinioni negative. Ad alimentare le possibilità di
recupero di Hollande, ci pensa la destra, offrendo agli elettori il più
grottesco dei paradossi.
Date le drammatiche condizioni di salute
della gauche, il cui elettorato popolare si rivolge sempre più verso il
Front National, la destra avrebbe in teoria la vittoria in tasca: c’è
una Francia che sogna l’alternativa, che pretende riforme strutturali,
che ha voglia di crescita e di libertà economiche, che è satura di
ideologia statalista, disoccupazione cronica, spesa pubblica fuori
controllo e record mondiale di prelievo fiscale. È stato detto che lo
Stato francese è come un fantino obeso che cavalca un cavallo (la
società civile, privata e produttiva) esausto. Ma che fa la destra?
Anziché raccogliere le truppe dietro un candidato credibile e un
programma di riforme coraggioso, si lacera fra candidature e rivalità
personali con il risultato di disorientare la base elettorale più fedele
e di «rischiare» di regalare l’Eliseo a Hollande.
Fra poco si
terranno le primarie, un gioco americano riadattato alle fumisterie
galliche. Alain Juppé, il più attrezzato pretendente all’Eliseo, ha il
favore dell’opinione pubblica, piace ai centristi e persino a frange
della sinistra riformista, ma molto meno alla base del partito, più
favorevole (anche perché abilmente orchestrata) al suo presidente,
Nicolas Sarkozy, il quale ovviamente lavora perché la partecipazione
alle primarie si restringa nel perimetro dei militanti. Nessuno dei due
farà un passo indietro, fino all’ultimo voto, accentuando il
disorientamento dell’elettorato e rischiando l’autoeliminazione nella
corsa all’Eliseo.
Nel duello, s’inseriscono altri sei outsider,
fra cui gli ex ministri Copé e Fillon, con il risultato di alzare il
livello dello scontro e i toni populisti del dibattito interno.
L’economia e le riforme, cioè le prime emergenze, lasciano spazio alla
ricerca del consenso emozionale su altre emergenze: il terrorismo (con
allarmi ricorrenti), le ondate migratorie, la sicurezza, l’identità
nazionale, fino allo psicodramma estivo del burkini. La destra
repubblicana, in particolare Sarkozy, insegue così le inquietudini dei
francesi e propone una narrazione nazionale ed europea sempre meno
distante da quella di Marine Le Pen.
Il programma ideologico del
Front National, depurato da asprezza di toni e slogan razzisti, è
banalizzato, non più stigmatizzato come retriva pattumiera ideologica.
Non soltanto in Francia, è moneta corrente nella corsa ad alzare muri,
invocare controlli di frontiere, mortificare valori di solidarietà e
accoglienza, esaltare radici ancestrali, disprezzare in blocco le élite,
accusare l’Europa anche dei raffreddori di stagione. Senza ammetterlo,
la destra se ne appropria e la sinistra ha smesso di condannare, secondo
una deriva culturale che attanaglia l’Europa, i partiti tradizionali, i
leader, con la sola eccezione di Angela Merkel, decisa a tenere la
barra dritta e a guardare al futuro, nonostante gli schiaffi elettorali
delle ultime settimane.
In questo quadro, Marine Le Pen,
banalizzata e di fatto non più corpo estraneo, non ha più bisogno di
slogan politicamente scorretti e di arringhe sgradevoli. Dopo essersi
liberata del padre e dell’armamentario ideologico dell’estrema destra
xenofoba, le basta ripetere a bassa voce ciò che la maggioranza dei
francesi e degli europei ormai pensa senza dirlo. Forse, a maggio, sarà
ancora sconfitta dalla «santa alleanza». Ma fino a quando i francesi
sceglieranno le fotocopie anziché l’originale?