Corriere 24.9.16
L’asse per il proporzionale (corretto)
Il possibile accordo premier-FI per cambiare la legge elettorale
Anche se vincesse il referendum, per cambiare l’Italicum Renzi dovrebbe accordarsi con Berlusconi
di Francesco Verderami
È
una questione di numeri in Parlamento ed è anche (anzi soprattutto) una
questione politica. Già senza diserzioni nella maggioranza, l’iter di
una riforma elettorale al Senato sarebbe complicato. Se poi la minoranza
del Pd si mettesse espressamente di traverso, allora i voti di Forza
Italia diverrebbero indispensabili. Ma non è solo questo il motivo per
cui gli ufficiali di collegamento tra Palazzo Chigi e Arcore — che non
hanno mai interrotto i contatti — stanno utilizzando il tempo di qui
fino al referendum per verificare se sia possibile trovare una
convergenza su un nuovo modello di voto.
Hanno a disposizione nove
settimane e mezzo, se è vero che Renzi è propenso a indire la
consultazione popolare per il 4 dicembre. Le residue riserve del premier
sono legate a un aspetto mediatico: scegliendo l’ultima data utile
esporrebbe il fianco alle opposizioni, che lo accuserebbero di aver
voluto tirarla alla lunga per paura della sconfitta; al contempo però
un’ulteriore settimana di campagna elettorale verrebbe utile per
spiegare le ragioni della riforma costituzionale. In attesa che il capo
del governo sciolga il nodo insieme a Mattarella, è sulla legge
elettorale che si gioca una partita parallela.
Come sempre le
prime proposte sanno di schermaglia, perché la richiesta rivolta dagli
uomini di Renzi a Gianni Letta, quella cioè di invitare il Cavaliere a
sostenere il fronte del Sì, era evidentemente irricevibile. E infatti il
leader forzista non cambierà verso, anche se nei suoi conversari
manifesta sempre una certa qual preoccupazione, «perché non vorrei che
l’eventuale vittoria del No passasse nel Paese come una vittoria dei
Cinquestelle». C’è tutto Berlusconi in questa frase, come nel messaggio
che ha lanciato a Renzi e ai suoi avversari interni, facendo filtrare
una preferenza «proporzionale» sulla legge elettorale. È una puntata
alla roulette sul rosso e il nero, un modo per parlare al Pd di
maggioranza e al Pd di opposizione, per tentare di trarre profitto
politico qualunque sia l’esito del referendum.
La vampata
«proporzionalista» nel Palazzo è frutto di un diverso atteggiamento di
Renzi, fino a qualche tempo fa deciso a offrire solo delle «correzioni»
all’Italicum, e ora tentato dal gioco di quanti gli chiedono
l’abolizione del ballottaggio. Sia chiaro, Renzi resta contrario al
proporzionale puro, ma dietro quei tecnicismi comprensibili solo agli
esperti prende corpo l’ipotesi di un cambio di sistema, con uno schema
che prevederebbe la formazione di una coalizione di governo in
Parlamento e non nelle urne, consentendo comunque al partito di
maggioranza relativa di restare sempre il perno di ogni possibile
alleanza.
Questa formula non smentirebbe la linea di Renzi,
secondo cui «la sera delle elezioni si deve sapere chi ha vinto», e
dunque chi va a Palazzo Chigi. Semmai una simile legge elettorale
consentirebbe di allargare lo spettro delle maggioranze: proprio ciò che
interessa ai centristi oggi alleati con il leader del Pd e a
Berlusconi. «Cambiare l’Italicum senza contraddire Matteo, assecondare
Silvio senza darlo a vedere, prefigurare le coalizioni sapendo che le
coalizioni non ci sono più...»: basta ascoltare Verdini per capire che
trovare una soluzione sulla legge elettorale è come disinnescare un
ordigno a occhi chiusi. Ma a questo servono le nove settimane e mezzo.
E
per evidenziare il suo interesse, il premier pensa a un gesto politico
prima del referendum, sta immaginando di affidare ai dirigenti del Pd o
ai capigruppo un mandato per consultare gli altri partiti e verificare
le loro richieste. Ma solo dopo l’apertura delle urne si capirà se sarà
Renzi a gestire ancora la trattativa. In ogni caso — anche vincendo nel
Paese — avrà bisogno di Berlusconi in Parlamento per cambiare
l’Italicum, sapendo che sarà come aprire il vaso di Pandora: tra il
rebus dei capilista bloccati, quello delle pluri-candidature, le soglie
di sbarramento, il premio di maggioranza, la scelta tra collegi e
preferenze, i voti segreti tra Camera e Senato... E con la sentenza
della Consulta che sbarrerà il passo alla tentazione di far saltare il
banco e andare alle elezioni senza cambiar nulla .