venerdì 23 settembre 2016

Corriere 23.9.16
«Bisogni nuovi, ricetta vecchia. Così le sinistre hanno fallito»
L’ex presidente cileno Lagos: dal Sudamerica all’Europa, sfide simili
di Paolo Valentino

ROMA «In Cile, come in molti altri Paesi del Sud America e del mondo, c’è una crisi di fiducia nei confronti del potere, una distanza crescente tra cittadini e élite politiche, economiche, mediatiche. Per questo credo sia necessario un nuovo patto, che in primo luogo ridefinisca questo rapporto su nuove basi».
Ricardo Lagos è stato presidente socialista del Cile dal 2000 al 2006. Ma neppure oggi, a 78 anni, rinuncia alla sua fama di visionario e innovatore contro ogni riproposizione rituale di agende politiche e soluzioni del passato. Per questo sta seriamente valutando di ricandidarsi alle presidenziali cilene del prossimo anno. Lagos è in Italia, dove ieri ha ricevuto il Sigillum Magnum, massima onorificenza accademica dell’Università di Bologna.
Allora Presidente, correrà o no contro Isabel Allende per le primarie socialiste?
«Non mi sono ancora registrato. C’è tempo fino al prossimo marzo. Vedremo. Oggi penso che sia meglio agire da ex presidente. Isabel Allende è una candidata formidabile, i cambiamenti che lei propone per il Cile sono importanti. La cosa fondamentale è che l’attuale coalizione di centro sinistra rimanga al potere».
Lei ha definito l’attuale situazione del Cile come la più grave crisi politico-istituzionale dal 1973, l’anno del golpe di Pinochet. Perché?
«C’è una crescente delegittimazione delle istituzioni. La gente le guarda con sospetto e indifferenza. Il tasso di approvazione dei partiti politici e del Parlamento è inferiore al 10 per cento. Ci sono casi di corruzione nella comunità degli affari. La Chiesa cattolica viene accusata di comportamenti non etici. Perfino la Federcalcio cilena, nonostante i successi della nostra nazionale, è nel mirino. C’è un problema di fondo nel rapporto tra politica e denaro. Il dilemma è che la risposta dovrebbe venire dalle stesse istituzioni che sono in grave debito di credibilità. Ma questo è vero non solo in Cile».
E di chi è la colpa?
«Una risposta possibile sono le crescenti disuguaglianze prodotte dalla globalizzazione. Nel caso del Sud America, una spiegazione aggiuntiva è l’emergere delle nuove classi medie, che si sono lasciate dietro la povertà e ora esprimono un diverso set di domande, molto più difficile da soddisfare, come per esempio l’istruzione universitaria gratuita. Vale in Cile come in Brasile, in Messico come in Colombia».
Sono tutti Paesi dove la sinistra appare in crisi. E possiamo aggiungerci il Venezuela con il tramonto dello chavismo, la Bolivia o l’Argentina. È una crisi che rispecchia quella della sinistra europea.
«La sinistra in Sud America è vittima del proprio successo. I tassi di crescita ottenuti grazie ai corsi del petrolio o al prezzo del rame o di altre merci avevano permesso di ridurre la povertà dal 45 al 34 per cento, una rivoluzione. Ma oggi non siamo più in grado di rispondere alle nuove aspettative, create proprio da quel balzo in avanti. Le classi politiche sono conservatrici per natura, pensano che un’agenda politica di successo debba essere ripetuta in eterno. Non è possibile. Oggi bisogna recuperare fiducia. In Cile per esempio, abbiamo la stessa Costituzione neo-liberista dell’era Pinochet, ma dopo la crisi del 2008 è evidente che lo Stato deve avere un ruolo di regolatore del mercato per rilanciare la crescita. Guardi gli Stati Uniti cosa hanno fatto per uscire dalla crisi. È il ritorno della politica. Non si può dire: il mercato non capirà. Il mercato non viene eletto e non può decidere per tutti. È vero, le sfide che abbiamo di fronte sono simili a quelle della sinistra europea».
E quali sono le risposte?
«La più importante è che in futuro, sia noi che voi dovremo essere in grado di parlare con una sola voce, sul piano politico ed economico. Solo i Paesi-continente potranno emergere. L’Europa per noi resta un modello, anche se in questa fase l’integrazione non fa progressi e viene contestata».