mercoledì 21 settembre 2016

Corriere 21.9.16
«Obama ha scoperto i limiti del multilateralismo E non aveva un piano B»
di Massimo Gaggi

NEW YORK «Negli otto anni della sua presidenza Barack Obama ha cercato di rovesciare l’unilateralismo della politica di Bush che ha reso l’America invisa a molte nazioni del mondo. Quella della transizione verso un approccio multilaterale era la scelta giusta. Purtroppo gli altri Paesi non hanno cooperato, o lo hanno fatto male. E la Casa Bianca non aveva un “piano B”. Ha continuato a tirarsi indietro spingendo gli altri ad un maggiore impegno. Così si è creato il vuoto sfruttato dall’Isis e Putin ha potuto fare la voce grossa».
C’è rammarico e preoccupazione nella voce di Michael Walzer, politologo di Princeton, mentre analizza l’eredità politica che Obama lascia all’America e al mondo: l’occasione perduta di un personaggio che apprezza ma che si lascia dietro un Paese in una situazione di grande incertezza.
Obama chiede solidarietà per i rifugiati che fuggono dalle guerre, ma che impatto avrà il moltiplicarsi degli attacchi terroristici di «cani sciolti» anche in territorio Usa alla vigilia delle elezioni presidenziali?
«Temo che darà un vantaggio a Trump. Devo dire che Hillary Clinton lo aveva previsto lucidamente: un’offensiva terrorista a ottobre per radicalizzare lo scontro. La prima reazione ad attacchi di questo tipo, lo sappiamo, è il rafforzamento del nazionalismo e della destra. È vero in tutti i Paesi: emerge la tendenza ad azioni forti contro le minoranze, i dissidenti, gli immigrati. Basta vedere la reazione di ieri dei due candidati: Hillary irrigidita, costretta a mille distinguo, a promettere severità nell’accoglienza dei profughi. Trump, invece, imbaldanzito, si è mosso con più libertà, consapevole di poter sfruttare la situazione a suo vantaggio».
Ora chiede addirittura il «profiling» delle minoranze sospette. Dice: se lo fa Israele, perché non possiamo noi?
«In Israele quando entri in un supermarket vieni controllato per motivi di sicurezza. Non ho problemi se gli stessi controlli vengono fatti a New York, che so, quando entri in una stazione ferroviaria. Ma queste azioni concepite per ridurre le minacce hanno un limite: devono essere compatibili con le libertà civili. Se prendi di mira chi ha l’aspetto dell’arabo sei fuori da questo quadro di garanzie».
L’altra popolare ricetta di Trump è quella del muro anti-immigrati. Obama dice che chi costruisce muri imprigiona solo se stesso.
«Muro contro chi? La maggior parte dei terroristi che hanno agito negli Usa sono nati o hanno studiato in America. In questo Paese siamo tutti immigrati, figli di immigrati o nipoti di immigrati».
Poco prima di questo ultimo passaggio all’Onu, Obama ha fatto un accordo con la Russia per una tregua in Siria che è subito andata in fumo. Ha sbagliato?
«Sulla Siria il presidente americano ha sbagliato fin dall’inizio. Lo so, quella è una crisi durissima da gestire con scelte impossibili: nessuna soluzione veramente praticabile, molti vicoli ciechi. Ma quando ha fissato la sua “linea rossa” e il regime di Damasco l’ha superata, doveva intervenire con durezza. Doveva schierarsi con molta più determinazione con le forze secolari, vale a dire i curdi e anche il “Free Syrian Army”. Anche se per quella via c’era poi il rischio di consegnare armi ai jihadisti capaci di disarmare i ribelli laici. Come le ho detto: soluzioni lineari non ce n’erano».
La Casa Bianca ha sottovalutato la capacità di resistenza di Assad?
«Se ha pensato che potesse andare come per Mubarak in Egitto, ha sbagliato di grosso. Ma hanno pesato le gravi carenze dell’intelligence Usa in Siria. Comunque un presidente non dice “Assad deve andarsene” se non sa per certo che verrà cacciato o se non ha intenzione di intervenire direttamente per spodestarlo».
Gli altri errori?
«Libia e Ucraina. A Tripoli stessa storia: non cacci Gheddafi se non sei pronto a rimpiazzarlo e a evitare che un Paese già diviso piombi nel caos. Ma qui cominciano le responsabilità degli alleati: in Libia Obama si è fidato troppo di Francia e Gran Bretagna. Quanto all’Ucraina, ci voleva più determinazione. Non dico che si dovesse andare alla guerra con Putin. La Crimea probabilmente era persa comunque, ma per il resto andava tutelata l’integrità territoriale di Kiev: l’esercito ucraino era pronto a difendere la parte orientale del Paese, andava sostenuto. Ma qui, oltre agli errori di Obama, ci sono state le resistenze della Germania, un altro alleato recalcitrante».