La Stampa 21.9.16
Fallita l’ultima mediazione
i Saloni del Libro saranno due
L’incontro
al ministero della Cultura ha sancito la spaccatura Franceschini: due
città rigide, l’Italia perde una grande occasione
di Emanuela Minucci
Come
il sogno di una notte di mezza estate, il compromesso storico
Milano-Torino sul Salone del Libro è svanito in un pomeriggio romano
tanto assolato quanto scuro era il volto con cui il ministro della
Cultura Dario Franceschini, alle 16,35 dopo l’ultimo inutile vertice, ne
ha dato l’annuncio: «Due città rigide, rimaste ognuna arroccata sulla
propria posizione. Il risultato? In primavera ci saranno a cento
chilometri di distanza due saloni del libro che si faranno una
concorrenza spietata. Così l’Italia intera perde una grandissima
occasione».
La concertazione per creare un evento unico
distribuito sulle due città come il festival musicale MiTo non ha
funzionato e ieri al tavolo istituzionale al ministero sono volati gli
stracci. Esito annunciato dopo la svolta di lunedì, quando la presidente
di Fiera Milano Renata Gorgani (che rappresenta l’Aie, Associazione
Italiana Editori) ha presentato agli altri saggi nominati per mediare -
Bray (Torino), Colasanti (ministero dell'Istruzione) e Rummo (Beni
culturali) - una proposta ultimativa: a Milano gli editori e a Torino
«la più grande libreria d’Italia», insomma un’edizione extra-large di
«Portici di carta». Proposta-capestro, irricevibile, secondo Torino.
Ieri
in via del Collegio romano non tirava proprio aria di accordi. Neppure
il paragone fatto da Franceschini con la lite sul Salone Nautico di
Genova (risolta dal ministro Calenda minacciando di non dare più soldi
alla manifestazione) ha smosso le parti. In un’ora e mezza di confronto
serrato si è consumato un divorzio che il Mibact ritiene irreversibile
al 99%. L’idea finale rimasta agli «sherpa» romani è che sia Milano sia
Torino abbiano qualche colpa. Milano è partita in malafede, tutto voleva
tranne che arrivare a un accordo, ma Torino forse ha chiuso in modo
precipitoso.
La sindaca Chiara Appendino e il governatore del
Piemonte Sergio Chiamparino sono partiti ieri mattina da Caselle con
l’idea di respingere il diktat milanese senza nemmeno aprire il pacco.
«Se dobbiamo fare un festa di librai per strada senza editori, non
abbiamo bisogno dell’aiuto di Milano», spiegava Chiamparino al banco del
check-in. Concetto ripetuto poche ore dopo al tavolo dell’ormai ex MiTo
del Libro: «Non possiamo accettare che il Salone degli editori si
faccia a Milano e Torino debba accontentarsi di una grande libreria».
Anche
Appendino ha parlato al tavolo istituzionale con la determinazione di
chi è intenzionato a far saltare un banco a cui siedono giocatori di cui
non si fida più. «Noi eravamo d’accordo nel fare un Salone unico del
Libro con Milano per fare sistema - ha detto - ma se si tratta di negare
la nostra storia allora non c’è accordo». Ai suoi collaboratori ha
spiegato: «Per noi c’erano tre punti da rispettare: un Salone unico con
date uniche e una governance unica. Su questi punti non si è trovata la
mediazione e quindi da oggi cominceremo a organizzare il nostro Salone.
Siamo veramente dispiaciuti perché se si fosse trovato un accordo
sarebbe stato meglio. Andremo avanti per conto nostro festeggiando i 30
anni del Salone del Libro di Torino». Chiamparino aggiunge una nota
bellicosa: «Non siamo animati da alcuno spirito guerriero, anche se non
sarebbe la prima volta che Davide batte Golia».
Il tutto mentre il
presidente dell’Aie Federico Motta, a fianco della fida Renata Gorgani,
commenta: «Abbiamo ragionato su una macro area e su eventi di pari
livello e dignità ma con format diversi. Non siamo riusciti a trovare
l’accordo sperato ma siamo disponibili al confronto e a valutare
ulteriori progetti con Torino». Ciliegina sulla torta (in faccia a
Torino): «Prendiamo atto della rottura del tavolo ma non siamo noi che
abbiamo rotto, deve essere chiaro a tutti - precisano -. Andiamo avanti
da soli: presenteremo la nostra manifestazione, primo tassello del
Progetto Promozione del Libro, il 5 ottobre a Milano».
Torino ha
rotto (ma dice che non ha certo cominciato lei), non ci sta e farà il
suo Salone al Lingotto dal 18 al 22 maggio, salvo cambi di data
improvvisi.
«Due città rigide, rimaste ognuna arroccata sulla
propria posizione. Il risultato? In primavera saranno a 100 chilometri
di distanza due saloni del libro che si faranno una concorrenza
spietata. Così l’Italia intera perde una grandissima occasione». Sono le
16,35 di un assolato pomeriggio romano quando il ministro Franceschini
varca la soglia della Sala Crociera al secondo piano del Mibact a fianco
della ministra Giannini. Volto scuro, due minuti di dichiarazione
davanti a taccuini e telecamere, in cui spiega che il suo ministero e
quello della collega responsabile del Miur ha fatto il possibile per
mettere d’accordo Milano e Torino con il risultato che l’estate di
concertazione per creare un evento librario unico è passata invano e al
tavolo di Mi-To sono volati gli stracci. Una fine cominciata già lunedì
pomeriggio, quando la presidente di Fiera di Milano Renata Gorgani (che
al tavolo rappresentava l’Aie) ha portato alla riunione dei quattro
saggi - gli altri tre sono Bray, Colasanti, Rummo - un aut aut: a Milano
gli editori a Torino la più grande libreria d’Italia, insomma,
un’edizione extra-large di «Portici di carta». La sindaca di Torino
Chiara Appendino e il presidente della Regione Piemonte Sergio
Chiamparino sono partiti già ieri mattina da Caselle con l’idea che
l’impostazione di Milano andasse restituita al mittente senza aprire la
busta. «Se dobbiamo fare un festa di librai per strada senza editori
posso farla non ho bisogno dell’appoggio di Milano» diceva Chiamparino
davanti al banco del check in. Gli stessi concetti sono stati espressi
poche ore più tardi dalla sindaca, che è sfilata davanti ai cronisti
dopo il duo Motta-Gorgani che si è detto «sinceramente dispiaciuto». E
chi ha partecipato al tavolo spiega che è stata proprio Appendino a
farlo saltare («chissà forse è stato proprio Grillo a chiedergli di
rompere le trattative con Milano» ha pensato qualcuno al ministero) con
un intervento che in sintesi ha poi riportato anche ai cronisti: «Noi
c’eravamo per fare un Salone unico del Libro con Milano per fare
sistema, ma se si tratta di negare la nostra storia allora non c’è
accordo e andremo avanti per conto nostro festeggiando i 30 anni del
Salone del Libro di Torino». E ha aggiunto:
«Per noi c’erano tre
punti da rispettare: un Salone unico con date uniche e una governance
unica. Su questi punti non si c’è stata mediazione e quindi da domani
cominceremo a organizzare il nostro Salone. Siamo veramente dispiaciuti
perché se si fosse trovato un accordo sarebbe stato meglio» ha concluso
la prima cittadina di Torino. E il governatore Chiamparino ha aggiunto:
«Non possiamo accettare che il Salone degli editori si faccia a Milano e
a Torino si faccia una grande libreria. Non siamo animati da alcuno
spirito guerriero, anche se non sarebbe la prima volta che Davide batte
Golia».
Il tutto mentre il presidente dell’Aie Motta, a fianco di
Renata Gorgani commenta: ««La nostra idea era creare a Torino la più
grande libreria d’Italia. Uno dei problemi legati ai festival è che non
ci sono mai i libri e volevamo fare una manifestazione dove ci fossero.
Il ministro ci aveva chiesto di coinvolgere tutta la filiera del libro e
ricordo che i librai sono una parte rilevante del sistema librario». Il
presidente dell’Aie, Federico Motta, ha spiegato così, al termine del
tavolo saltato oggi al Mibact, il progetto proposto per una
manifestazione unica a Milano e Torino del prossimo Salone del Libro.
«Questo anche perché Torino ha sempre sottolineato il carattere
culturale delle proprie attività ed eravamo andati incontro anche a
questa indicazione».
In realtà ieri non tirava proprio aria di
accordi. Neppure il paragone fatto dal ministro Franceschini tra le liti
di Torino e Milano con quelle all’interno del Salone Nautico di Genova
(lì il ministro Calenda ha minacciato di non dare più soldi alla
manifestazione sino a quando non si sarebbe trovato l’accordo tra le due
associazioni litiganti,Ucina e Nautica Italia) ha smosso le parti. In
un’ora e mezza di confronto serrato si è consumato un divorzio che il
Mibact ritiene irreversibile al 99 per cento. L’idea finale che è
rimasta agli «sherpa» è che sia Milano sia Torino abbiano qualche colpa.
Milano è partita in malafede, tutto voleva tranne arrivare un accordo,
si è detto fra i corridoi, ma Torino oggi (ieri per chi legge, ndr) ha
chiuso con troppa fretta, non pensando che la «Libreria d’Italia» poteva
essere un modello interessante anche se subito appariva come una
«diminutio».