mercoledì 21 settembre 2016

Corriere 21.9.16
Trattativa virtuale in attesa del referendum
di Massimo Franco

C’ è qualcuno che sta scoprendo le sue carte sul sistema elettorale. E il mantra trasversale è quello del cambiamento dell ’Italicum , che sembrerebbe destinato all’archiviazione prima ancora di essere stato applicato una sola volta. Tuttavia, l’impressione è che le proposte siano soltanto virtuali: nel senso che il Parlamento non deciderà nulla prima del referendum istituzionale previsto con ogni probabilità all’inizio di dicembre: tanto che FI e Lega si rifiutano di soddisfare la richiesta del governo.
Da questo punto di vista, la Corte costituzionale ha fatto scuola, rinviando qualunque pronuncia di legittimità sulla legge elettorale. Il rinvio giurisdizionale e quello politico, però, confermano indirettamente il nesso tra riforme e Italicum. Scaricano sui partiti il compito di offrire soluzioni. E consentono al fronte del No di utilizzare un altro argomento contro le proposte del governo sottoposte a referendum. Rischia di riemergere l’accusa al Pd di usare la Costituzione per regolare i propri conflitti interni, scambiando qualche concessione alla minoranza in materia elettorale per fiaccare l’opposizione al Sì.
Ma basta poco perché le diffidenze riemergano. Ieri si è parlato di una riunione delle forze di maggioranza e di una loro mozione comune. E subito è scattata l’accusa di riscrivere le regole da soli. Al punto che il vicesegretario del Pd, Lorenzo Guerini, ha dovuto precisare che era un incontro di «normale confronto». Renzi ieri da New York ha fatto sapere che «il governo ha dato disponibilità a intervenire nei modi e nei tempi che il Parlamento deciderà». Come dire: non spetta più a Palazzo Chigi dettare l’agenda.
«Ora aspettiamo le proposte di Berlusconi e Salvini» sull’ Italicum , ha aggiunto, «così tutte le posizioni saranno chiare e poi faremo le modifiche». Col passare delle ore, tuttavia, l’apertura del premier viene interpretata dagli avversari come un espediente per guadagnare tempo. Per questo FI e Lega annunciano che non presenteranno mozioni al Parlamento: ritengono di trovarsi di fronte a una manovra dilatoria. Il fatto che il M5S abbia avanzato la propria proposta, rilanciando il sistema proporzionale con le preferenze, non deve sorprendere: serve soprattutto a marcare le distanze dal governo e ergersi a interprete e protettore della rappresentanza popolare.
Renzi osserva che le sindache del M5S di Roma e Torino potrebbero non essere d’accordo con Beppe Grillo: sono state elette ai ballottaggi. Ma ripete anche la battuta sui senatori italiani che sarebbero «come i tacchini del Giorno del Ringraziamento, perché si sono ridotti di numero» da soli: battuta a doppio taglio. In più, ribadisce che l’Italia non sarebbe affidabile per difetto di stabilità: 63 governi in 70 anni. Parole che ricordano troppo quelle dette dall’ambasciatore Usa in Italia per difendere il Sì; con scia di polemiche aspre.