Corriere 19.9.16
In cella solo i poveri
La grande impunità italiana
di Ernesto Galli della Loggia
Sulla
base dei precedenti non c’è da farsi davvero molte illusioni sulla
punizione dei responsabili della sospetta (direi quasi certa) pessima
qualità costruttiva di molti degli edifici crollati nel recente
terremoto dell’Italia centrale. Infatti, come ha messo bene in evidenza
l’inchiesta di Guastella e Pasqualetto pubblicata qualche giorno fa dal
Corriere , nei decenni passati — dal Friuli all’Emilia passando per
l’Irpinia e il Molise — tutte le numerose azioni giudiziarie conseguenti
ai relativi terremoti occorsi in quei luoghi hanno portato a niente
altro che ad appena 14 condanne di progettisti, costruttori e
responsabili amministrativi, per un totale di pochi mesi effettivi di
carcere.
È un dato che tuttavia non fa notizia. E si capisce
perché: esso rimanda infatti a un fenomeno più generale, anche questo
quasi scontato. In Italia, in prigione forse anche i benestanti, i
professionisti, le persone più o meno importanti e quelle che
appartengono a una certa classe sociale ci fanno qualche volta una
capatina: ma quanto a restarci ci restano solo i poveracci. Non
ingannino a questo riguardo le dure condanne, che pure ci sono, come
quella a 10 anni di prigione inflitta pochi giorni fa ai vertici
dell’industria farmaceutica Menarini. Le condanne in primo e magari
anche in secondo grado ci sono, ripeto: peccato che però non
corrispondano a nessuna punizione effettiva, cioè non mandino in
prigione nessuno.
N ovantanove volte su cento, infatti, con il
tempo, con gli appelli, i contrappelli e la Cassazione, anche le
condanne iniziali vengono poi cancellate. Sicché alla fine solo gli
extracomunitari, gli infimi spacciatori, gli emarginati a vario titolo,
gli appartenenti alle classi povere, popolano le nostre galere.
Nei
Paesi che ci piacerebbe emulare non è così. In Germania, non molto
tempo fa, il ricco e potente presidente del Bayern Monaco, condannato
per evasione fiscale a due anni e poco più di prigione, ne varcò i
cancelli nel giro di un paio di giorni. Un altro esempio: negli Usa i
responsabili dei fallimenti bancari e assicurativi del 2008 sono da
tempo dietro le sbarre con condanne pesantissime che, c’è da giurarci,
sconteranno in grandissima parte. Il famoso finanziere Madoff, colpevole
di aver ingannato e spogliato centinaia di ricchi e avidi gonzi che gli
avevano affidato i loro capitali, si è beccato una condanna
all’ergastolo.
Tutte cose in Italia impensabili: anche se nessuno
sembra farci caso, nessuno solleva il problema. Meno che meno
l’ineffabile Consiglio superiore della magistratura, pur così
instancabilmente sollecito delle sorti della giustizia. E dire che
proprio i magistrati, invece, sarebbero i più titolati a spiegarci il
perché della vasta impunità italiana. A spiegarci, ad esempio, perché in
mano ad avvocati abili, che però solo le persone agiate possono
permettersi, le procedure assurde e i codici malfatti che ci governano
consentono, attraverso tutto un sistema di rinvii, di prescrizioni e
ricorsi, di vanificare indagini e sentenze. Chi lo sa meglio di loro? A
quel che ricordo, invece, solo il presidente dell’Anm, Pier Camillo
Davigo, vi ha in varie circostanze dedicato qualche attenzione.
Eppure
— c’è bisogno di dirlo? — questo doppio standard nell’amministrazione
della giustizia ha conseguenze vaste e gravissime. La prima conseguenza è
la vanificazione di fatto, prima che del senso della legalità nei
cittadini, della legalità effettiva in quanto tale. Una legge che non
valga per tutti, infatti, non è più una legge: è un provvedimento
arbitrario. Rispetto poi a chi dovrebbe obbedire, ai cittadini, è
difficile immaginare che una qualunque legge sia davvero rispettata se
sulla base dell’esperienza si diffonde la convinzione che a qualcuno è
consentito non rispettarla senza essere sanzionato. Da ciò la seconda
conseguenza: il discredito dell’intera sfera pubblica, a cominciare
dalla magistratura per finire con la politica e con il governo: le loro
leggi non valgono nulla dal momento che chi sa e soprattutto chi può le
viola senz’alcun danno, e dunque anche quei poteri che le emanano e le
amministrano non valgono nulla, non meritano alcun rispetto. Anche
perché, siano essi di destra o di sinistra, pur sapendo bene come stanno
le cose non muovono un dito per cambiarle.
Il modo d’essere della
giustizia è così divenuto la manifestazione forse più importante della
placida doppiezza morale che domina la società italiana. La quale quando
parla (specie se parla in pubblico) s’inebria dei nobili concetti di
solidarietà e di progresso, mostra regolarmente d’ispirarsi ai più alti
principi dell’equità e della benevolenza sociale, ma quando invece si
muove nella realtà d’ogni giorno, allora si scopre ferocemente
classista, assuefatta ai privilegi come poche, spudorata cultrice di una
vasta impunità.