Corriere 19.9.16
La Chiesa divisa e il fronte del No al referendum costituzionale
La
Conferenza episcopale sembra attenta alle ragioni del governo, ma
stanno aumentando i contrari alla modifica della Costituzione
A pesare non è la freddezza verso Renzi e il Pd, sono i contenuti dei quesiti referendari
di Massimo Franco
Non
ci sono pronunciamenti ufficiali, sebbene finora sia prevalsa la
lettura di una Cei più attenta alle ragioni del governo. E probabilmente
non ci saranno: né a favore del Sì né a favore del No. Ma non solo
perché la Chiesa italiana non vuole essere accusata di ingerenze nella
politica. La realtà è che sul referendum istituzionale la conferenza
episcopale appare divisa e confusa proprio come il Paese. Eppure, più si
avvicina la data ancora nebulosa della consultazione, più affiora la
preoccupazione per il modo in cui ci si arriva. E sta spuntando un
«fronte del No» ecclesiastico, convinto di poter guadagnare terreno
rispetto a un Sì che sembrava predominante. A pesare non è la freddezza
verso Matteo Renzi e il Pd per le scelte in materia di politica
familiare e in economia, anche se una scia di incomprensione e di
diffidenza è rimasta. Sono i contenuti dei quesiti referendari ad
accentuare l’ostilità di alcuni settori dell’episcopato e del mondo
cattolico. Con la Costituzione come fortino da difendere, e il sospetto
che la vicenda sfiori anche lo scontro dentro la Cei.
Il Vaticano
osserva molto da lontano: tanto più con papa Francesco determinato a
tenere le distanze da qualunque commistione con le vicende italiane. La
posizione della Santa Sede è espressa da una persona vicina al
Pontefice. E ricalca in buona misura quella misurata assunta dai vertici
delle istituzioni italiane. «Non succederà nulla di tragico, né se
vince il Sì né in caso contrario. Non si può assecondare chi ritiene sia
travolta la democrazia se passa la riforma, né che si va al disastro se
Renzi viene battuto. Non succederà nulla né in un caso né nell’altro»,
si fa presente. «Ci terremo a mille miglia da questa diatriba, anche
perché non tocca direttamente gli interessi della Chiesa. Per questo,
non pronunciarsi è saggio e doveroso». Ma se si esce dalle mura
vaticane, gli umori sono diversi. E si toccano con mano. Sul referendum
si scarica l’ortodossia costituzionale di alcune aree dell’episcopato; e
si mescola o si aggiunge ai malumori da delusione verso il governo.
«Un
tempo per i cattolici esisteva il dogma dell’unità. Ora sembra
prevalere quello della disunità», fotografa la situazione con
un’iperbole uno dei conoscitori più profondi dell’Italia religiosa. Al
di là di questa «disunità», nelle parrocchie e in alcuni settori
dell’associazionismo riemerge con prepotenza una sorta di
«catto-grillismo», antigovernativo e ostile a un Paese riplasmato dal
Sì. «D’altronde, la Carta fondamentale non è una leggetta qualunque. E
il referendum mette in gioco qualcosa che va al di là di un governo e di
un premier: la democrazia in Italia», arriva a dire un influente
cardinale italiano. «Registriamo gli ottimi propositi di velocizzare le
leggi e di risparmiare soldi. Ma se il prezzo da pagare è una
concentrazione di potere impressionante, la risposta è no: il prezzo è
troppo alto». È una tesi che raccoglie consensi tutt’altro che unanimi,
ma di certo non è affatto isolata.
Sulla stampa cattolica finora
si è colta una cauta preferenza per le riforme proposte da Palazzo
Chigi. Andando oltre l’ufficiosità, tuttavia, emerge una realtà più
frastagliata, e a tratti ostile alla strategia e agli obiettivi del
governo. È indicativa la prudenza di quanti sono indicati come fautori
del Sì. Quando si chiede loro quale sia l’orientamento della Cei, si
frena: «Non ci sono stati pronunciamenti ufficiali»: quasi si tema che
schierarsi esplicitamente col governo possa provocare una spaccatura
interna. La diplomazia della cautela anonima, e quella dell’attacco ai
quesiti referendari, pure anonima, fanno pensare. È come se i
sostenitori ecclesiastici del Sì captassero una fronda in incubazione:
in parte, una coda dei contrasti tra presidenza della Cei, e cioè il
cardinale Angelo Bagnasco, e il segretario, monsignor Nunzio Galantino.
Gli
elementi che alimentano i dubbi nei confronti del referendum sono
diversi. Il primo è di metodo. Ad alcuni non sono piaciuti il modo in
cui il premier ha difeso inizialmente la sua riforma elettorale,
l’Italicum, sostenendo che era intoccabile; e poi la rapidità con la
quale si è offerto di modificarla in cambio di un atteggiamento diverso
degli avversari, in testa la minoranza del Pd, sul referendum
costituzionale. «Scambiare l’appoggio al referendum con il sistema
elettorale è scandaloso», avverte un cardinale: una critica che però non
può essere riferita solo a Renzi ma va estesa ai suoi avversari tra i
Dem. «Né bisogna avere paura della minaccia di una crisi di governo:
perfino da noi si dice che morto un Papa se ne fa un altro». In realtà,
il 2013 insegna che se ne fa un altro anche in caso di dimissioni, dopo
quelle di Benedetto XVI.
Inoltre, viene giudicato semplicistico lo
schema secondo il quale «chi dice Sì guarderebbe avanti, chi è per il
No sarebbe retrogrado, oscurantista e innamorato del potere. Così non si
informa l’opinione pubblica, mentre è essenziale che sappia su che cosa
è chiamata a votare». In realtà, come si fa notare in Vaticano, anche
gli anti-renziani che esagerano i pericoli per la democrazia fanno
propaganda. Il secondo motivo di irritazione è il coro internazionale
che sostiene Renzi. Fra alcuni esponenti della Cei, l’appoggio
martellante al Sì di istituzioni finanziarie e governi esteri ha creato
sconcerto, se non fastidio: sebbene il tema degli effetti di una
bocciatura non possa essere eluso. Queste intrusioni vengono considerate
figlie come minimo di un’analisi superficiale, con una eventuale
sconfitta governativa tutta da vedere. È un approccio sorprendente,
nella sua radicalità. Nel «se ne stessero a casa loro!», rivolto a mo’
di sfogo da un cardinale a quanti appoggiano il referendum all’estero e
preconizzano che altrimenti l’Italia colerebbe a picco, si colgono echi
simili a quelli delle forze d’opposizione.
Se questi sono gli
umori, Renzi e la sua cerchia devono sapere di avere un altro avversario
da fronteggiare; e più insidioso e potente della minoranza del Pd.
Inutile cercare conferma, ma qualcuno ha notato che in alcune omelie
estive il cardinale Bagnasco, parlando di Europa, ha accennato alla
necessità di saper distinguere tra democrazie e regimi. Ebbene, più di
uno ci ha visto un riferimento indiretto alla battaglia referendaria in
atto in Italia. Non solo. Ha sorpreso la partecipazione di Dino Boffo,
ex direttore di Avvenire e di Tv Duemila, molto vicino al più «politico»
degli ex presidenti della Cei, Camillo Ruini, alla riunione dei
sostenitori del No promossa di recente dal senatore Gaetano
Quagliariello. In più, da mesi uno dei protagonisti del Family Day,
Massimo Galdolfini, gira l’Italia attaccando il Sì. Dà seguito alla
minaccia di «farla pagare» al premier per le leggi sulle unioni civili:
operazione di cui è evidente la strumentalità.
L’impressione è che
queste iniziative confermino un fermento nel mondo cattolico e in
quello ecclesiastico, frutto di contrasti vecchi e nuovi; e di un
giudizio divergente sulla Costituzione e sul futuro politico: se n’è
avuta un’eco recente nelle prese di posizione contraddittorie tra Cei e
Vaticano sul pasticcio del Campidoglio a guida Cinque Stelle. La domanda
da farsi è se questi contrasti emergeranno nelle prossime settimane
anche pubblicamente, o rimarranno confinati nelle pieghe di un conflitto
sordo e spesso opaco. Si parla di cardinali e vescovi italiani di peso,
pronti a fare sentire la propria voce: a costo anche di esprimere
opinioni discordanti. Ma ormai nel «mondo cattolico largo», come viene
definito quello che va oltre le organizzazioni e le associazioni, a
prevalere è un certo disorientamento. Prevale un disincanto verso i
partiti che inserisce un’incognita in più anche sull’esito del
referendum istituzionale.