Corriere 18.9.16
Lo psicoterapeuta Pellai racconta i suoi pazienti
«Giovanna, Massimo e gli altri minorenni caduti nella trappola delle foto hot in Rete»
di Antonella De Gregori
Ci
si entra per il bisogno di lasciare una traccia. Per parlare e
condividere, appartenere o emergere. Tutti sono su Facebook. O usano
Whatsapp e Instagram per filmarsi, fotografarsi, postare a caccia di
condivisioni e «like». Un far west dove si dicono cose intelligenti, ma
più spesso si scambiano banalità o filmati da vergogna. Com’è successo a
Giovanna, figlia dodicenne di una psicopedagogista.
«Intelligenza
vivace, tanto sport, coccolata e un po’ viziata, in quarta elementare
aveva già in mano un cellulare, in quinta un computer, in prima media un
iPad», racconta Alberto Pellai, psicoterapeuta dell’età evolutiva che
ha pubblicato per DeAgostini Tutto troppo presto. L’educazione sessuale
dei nostri figli nell’era di Internet , in cui parla delle nuove
generazioni e del loro rapporto «fluido, possibile, accessibile,
normalizzato» con il sesso. Quando Giovanna informa la famiglia che
vuole aprire un profilo Facebook, i genitori non si oppongono: la
maggior parte delle sue compagne lo ha già fatto. Diventata social, la
ragazza colleziona amicizie virtuali e in rete incontra «Beautiful
Prince», un 35enne che la aggancia millantando un’amicizia con il suo
idolo, Justin Bieber. La tempesta di messaggi, conquista la sua fiducia e
arriva a chiederle foto «con gli slip soltanto»; poi si passa ai video e
al sesso via webcam. Solo quando parte il ricatto Giovanna trova la
forza di confidarsi con un’amica, che la convince a parlare con i
genitori. Poi la denuncia, la polizia postale, e il percorso con il
terapeuta. La mamma? «Quando le ho chiesto se aveva mai parlato di sesso
con la figlia mi ha risposto: “Non avevo ancora fatto nulla, perché non
aveva ancora avuto il primo ciclo mestruale. Mi sembrava troppo piccola
e lei non chiedeva”».
Massimo invece, 11 anni, suo piccolo
paziente, uno che a scuola «spacca» — come dice lui — sportivo e boy
scout, ha scoperto Youporn attraverso un compagno, che un giorno durante
l’intervallo, di nascosto dai professori, ha tirato fuori lo smartphone
e ha mostrato alcuni filmini pornografici scaricati da lì. Prima andava
su Internet per tenersi informato su sport e squadra del cuore. Da quel
momento gli è successa una cosa pazzesca, «per la prima volta ha
provato un piacere incredibile», come ha poi raccontato al medico. Ed è
diventato un assiduo frequentatore del sito. Ma in breve si è trovato
preda di un disturbo «che aveva tutte le caratteristiche di una sindrome
da stress post-traumatico. Solo che l’evento traumatico non era
qualcosa che aveva messo a repentaglio la sua vita — spiega Pellai —
bensì la quantità di materiale pornografico a disposizione. Stimoli e
sensazioni che hanno saturato le sue fantasie e che lui non era ancora
in grado di gestire ed elaborare». Massimo è uno dei tanti: «Uno dei
modi con cui i giovanissimi provano a socializzare e a scambiarsi
informazioni intorno al tema del sesso è la condivisione di immagini e
materiali hot — prosegue Pellai —. Oggi è quanto mai frequente, perfino
tra bambini delle elementari, e molto pericolosa». Molti, padri
soprattutto, pensano che «si diventa grandi anche così».
Ma è
evidente che qualcosa manca. A una dozzina d’anni dalla loro nascita,
non è nato un bon ton dell’uso dei social, un’educazione civica
digitale. I genitori non sono più consapevoli, gli insegnanti non sono
più attenti. «Vedo tanti figli orfani nella loro vita online — dice
Pellai —. L’unica cosa che i genitori fanno per loro è accompagnarli nel
negozio di telefonia, per regalargli, sempre più presto, un cellulare
che abbia più gigabyte possibili».
Pellai parla di una sessualità
«facile, immediata e di pronto consumo», favorita e accelerata dalle
nuove tecnologie. Di giovanissimi che mostrano atteggiamenti connotati
sessualmente fin dalla seconda infanzia, quando dovrebbero pensare al
proprio corpo in termini ludici e motori, e non seduttivi. Come
Alessandra, 16 anni, brava a scuola, diverse amiche e la sensazione di
«non valere» perché i ragazzi non si accorgono di lei. Quando decide di
«cambiare il copione», pensa che per essere popolare deve «provare a
portarsi a letto un po’ di ragazzi», racconterà, una volta arrivata in
terapia. Lucia, 11 anni, invece, arriva a chiedere aiuto dopo mesi di
vita parallela e allucinata in compagnia del suo smartphone, dal quale
non si separa mai e che contiene una sequela di messaggi espliciti e
volgari che scambia con un ragazzo di 16 anni. E i genitori lasciano
fare.
«C’è uno scollamento sempre più frequente — dice Pellai —
tra lo sviluppo biologico, il corpo dei bambini e quello che in realtà
stanno pensando e facendo. E c’è il mondo virtuale che non è a misura di
bambino e nemmeno a misura di preadolescente. Potrà diventarlo se noi
adulti sapremo regolamentare, supervisionare e accompagnare i nostri
figli all’interno di un territorio così vasto e complesso. Ma oggi c’è
una voragine dove si dovrebbe fare educazione alla sessualità e
all’affettività. E mentre i genitori stanno zitti, il mondo, fuori,
urla».