Corriere 18.9.16
Russia, contro Putin alla Duma solo l’opposizione addomesticata
La popolarità del leader è all'80%: il suo partito, seppur in calo, oggi trionferà. Oltre la soglia del 5% tre piccoli partiti
di Paolo Valentino
MOSCA
Grigory Yavlinskij, veterano dell’opposizione e leader di Yabloko, la
prende con ironia: «Già conoscete i risultati delle elezioni», dice al
gruppo di giornalisti venuto a incontrarlo. E in verità tutto lascia
prevedere che non ci saranno sorprese dalle urne della Russia, che oggi
vota per rinnovare la Duma federale.
Vincerà, sia pure con un calo
di percentuale, Russia Unita, «il partito del presidente». E
supereranno la soglia del 5% solo altre tre formazioni: i comunisti, i
liberal-nazionalisti di Vladimir Zhirinovskij e i centristi di Russia
Giusta, cioè l’opposizione tollerata dal Cremlino. Resteranno ancora
fuori Yabloko appunto e il Parnas dell’ex premier Mikhail Kasyanov, i
cosiddetti «democratici», connotazione che in Russia indica una
discriminante politica e per giunta molto impopolare.
Yavlinskij
sembra farsene una ragione: «Su di noi la gente fa ricadere la
responsabilità delle porcherie degli anni 90 e in qualche caso ha
ragione». Eppure anche lui — come il paladino anticorruzione Alexej
Navalny, che non ha potuto candidarsi a causa di un processo per
corruzione interamente fabbricato — è convinto che l’elezione offra
un’opportunità e «boicottarla sarebbe un errore».
La chiave per
aprire questa contraddizione sono i 250 collegi uninominali, metà della
Duma, che la nuova legge elettorale ha previsto accanto al voto
proporzionale. «È un’innovazione che farà emergere nuovi personaggi»,
spiega Stanislav Belkovskij, politologo mai tenero con il Cremlino. E
cita alcuni nomi che sicuramente entreranno in Parlamento, come il
blogger Viaceslav Maltsev, candidato per Parnas a Saratov e la giovane
moscovita Maria Baronova. Secondo Belkovskij, si sono voluti evitare gli
errori grossolani del 2011, quando brogli e frodi inficiarono la
legittimità del risultato e diedero vita a forti proteste. Non solo è
stato aperto un piccolo spiraglio al cambiamento, ma è stata anche
curata molto l’immagine esterna. La nomina di Ella Pamfilova, celebre
per le battaglie sui diritti civili, a capo della Commissione elettorale
centrale, è stata la mossa più spettacolare di questa cosmesi della
trasparenza.
Ma il dato singolare di una campagna elettorale, a
Mosca passata quasi sotto silenzio, è il fatto che i morsi dolorosi
della crisi economica, giunta al terzo anno, non producano reazioni
significative nella maggioranza dei russi. Soprattutto non intacchino in
alcun modo la popolarità di Putin, stabilmente sopra l’80%.
Né
basta a spiegarlo solo l’abile narrazione del regime o il monopolio dei
media. Secondo Lev Gudkov, direttore del Levada, il Centro di ricerche
indipendente che pochi giorni fa è stato messo sulla lista nera dei
cosiddetti «agenti stranieri», «la popolarità di Putin è ormai slegata
da ogni considerazione sullo stato dell’economia e delle condizioni di
vita, perché egli vive nello spazio dei miti della Russia millenaria,
come difensore dei valori spirituali, tradizionali e dell’onore
nazionale».
Pyotr Tolstoj, popolare anchorman del primo canale tv e
trisnipote del grande Lev, è candidato di Russia Unita in un collegio
uninominale di Mosca. La sua spiegazione del consenso intorno all’uomo
del Cremlino è sicuramente di parte, ma vale la pena ascoltarla: «Il
vero tema che interessa la gente è il confronto di Putin con l’America e
gli europei. La crisi economica è un prodotto dell’Occidente, dalle
sanzioni alle manipolazioni dei corsi del petrolio. Ne usciremo, lo
stiamo già facendo. Ma l’ingenuità degli anni Novanta, quando avevamo
guardato a Ovest come alla terra promessa, è finita. I russi non credono
più ai valori europei e tornano ai valori propri».
Quanto
all’incapacità dei «democratici» di sfondare, Tolstoj dice che «non
c’entra nulla» con l’accesso ai media: «Nel mio talk show io invito
tutti, ma la verità è che agli occhi delle persone i partiti democratici
non hanno condiviso il consenso nazionale sulla ricongiunzione della
Crimea alla Russia e inoltre restano divisi, incapaci di esprimere
candidati comuni».
Oltre la nuova Duma e le sorti del governo di
Dmitrij Medvedev, che dopo il voto potrebbe registrare qualche cambio di
personale, l’orizzonte al quale tutti volgono lo sguardo sono le
elezioni presidenziali del 2018, quando Vladimir Putin dovrebbe correre
(e vincere) per il suo quarto mandato. Lo farà? Tutto fa pensare di sì.
Ma Belkovskij offre uno scenario intrigante: «Se Putin riuscisse nel
Grande Compromesso con l’Occidente, sanzioni, Ucraina, Siria,
riconoscimento dello status e del ruolo della Russia nel mondo, allora
forse potrebbe mettere sul piatto il suo ritiro e una nuova presidenza
Medvedev. Altrimenti rimarrà, perché si considera l’unico in grado di
guidare la Russia nel confronto con gli americani». Sembra
fantapolitica, ma il paradosso non è male: se si vuole far uscire di
scena Putin, bisogna accordarsi con lui.