giovedì 15 settembre 2016

Corriere 15.9.16
La Consulta e il rinvio del verdetto per non restare stretta tra Sì e No
di Giovanni Bianconi

Italicum, le ragioni del possibile slittamento a dopo il referendum
ROMA Il rinvio della decisione della Corte costituzionale sulla nuova legge elettorale sta diventando più di un’ipotesi. A tre settimane dalla data fissata, è una possibilità molto concreta. Secondo alcuni quasi certa. Attenzione però: della decisione, non della discussione in udienza pubblica, che si terrebbe comunque il 4 ottobre. A luglio, quando per la prima volta si pose il problema di posticiparla in attesa del referendum sulla riforma costituzionale, il presidente della Consulta Paolo Grossi ritenne di non cambiare data. Ma rispettata quella scadenza, il verdetto potrebbe slittare.
C’è infatti una prassi, non scritta ma mai violata fra i «giudici delle leggi», secondo cui se qualcuno chiede di sospendere il lavoro perché non ritiene di avere tutti gli elementi necessari a maturare un orientamento, gli altri si adeguano. Tuttora ci sono cause già affrontate in udienza ma non definite, per questo motivo. Alla Corte siedono quindici persone che hanno idee differenti ma si rispettano le opinioni altrui, le indecisioni, i supplementi di riflessione; un fair play utile a mantenere buoni rapporti personali e conservare intatto il prestigio dell’istituzione. E di fronte al giudizio sull’Italicum, dalle evidenti ricadute politiche e proprio per questo divenuto materia di auspici e previsioni contrapposte, ce n’è qualcuno che ritiene utile aspettare la consultazione popolare.
Diversi quotidiani hanno scritto che Giuliano Amato sarebbe favorevole a un rinvio, ma pure altri giudici si stanno convincendo che sarebbe una saggia soluzione. E, come detto, non serve che raggiungano la maggioranza. Basta che due o più si facciano avanti e, a meno di clamorosi e improbabili strappi, lo slittamento della decisione sarebbe cosa fatta.
Le ragioni per attendere l’esito del referendum sono di carattere tecnico-giuridico, ma anche politico-istituzionale. L’ordinanza con cui i giudici di Messina hanno presentato l’eccezione di incostituzionalità della riforma elettorale, ad esempio, contiene vari motivi. Uno riguarda la presunta incompatibilità fra l’Italicum per scegliere i deputati e il cosiddetto Consultellum per scegliere i senatori, ed è abbastanza evidente che un simile ragionamento non sarebbe valutabile qualora il Senato non fosse più composto attraverso l’elezione diretta, come prevede la riforma che sarà sottoposta a referendum tra fine novembre e inizio dicembre. Inoltre, come hanno sottolineato di recente importanti docenti della materia, il nuovo sistema è pensato esplicitamente per un’unica Camera a elezione diretta, e all’interno di una cornice costituzionale modificata: che senso avrebbe esprimersi, se subito dopo la nuova Carta venisse respinta dal voto dei cittadini?
Tuttavia sul posticipo o meno della sentenza pesano e peseranno motivazioni di carattere più generale. Che riguardano il ruolo stesso della Corte, nonché il peso del verdetto sugli equilibri politici e forse sul risultato stesso del referendum. L’esito della sentenza è considerato attualmente imprevedibile nel palazzo della Consulta, sebbene la bocciatura del Porcellum nel 2014 abbia richiamato una tutela dei principi di rappresentanza e di proporzionalità che fa ben sperare chi si oppone al nuovo sistema elettorale. Nonostante la riconosciuta impermeabilità dei giudici costituzionali, è evidente che sul destino dell’Italicum si stanno concentrando aspettative e pressioni. In un senso e nell’altro.
Un sì alla nuova legge rappresenterebbe una vittoria per Renzi e il suo governo, con conseguente sconfessione di tutte le critiche piovute dalle opposizioni. Un’abolizione sia pure parziale della riforma, invece, ha fin d’ora letture più variegate, all’interno della stessa maggioranza: si va dallo schiaffo al premier, considerato intollerabile e fin troppo condizionante da alcuni, all’idea che una modifica imposta dalla Consulta obbligherebbe l’esecutivo ad adeguarsi e toglierebbe l’alibi a quella parte del Pd che condiziona il Sì al referendum a una revisione dell’Italicum; aiutando in questo modo la vittoria finale di Renzi, sebbene per vie traverse.
Ipotesi e congetture sofisticate, probabilmente incomprensibili agli elettori, che aumentano la fibrillazione politica intorno alla decisione della Corte. Modificandone di fatto il ruolo e trasformandola da arbitro in giocatore, mettendone a rischio l’immagine di imparzialità. Un motivo in più per il rinvio, secondo chi sta meditando di sollecitarlo. E ottenerlo.