giovedì 15 settembre 2016

La Stampa 15.9.16
La Consulta e il nodo Italicum
Cresce il partito del rinvio
La Corte orientata ad aspettare l’esito del referendum, e valutare tutto insieme
di Ugo Magri

Sulla legge elettorale pende un macigno: la Corte costituzionale potrebbe bocciare l’«Italicum» e obbligare Matteo Renzi a rimetterci mano. Ai due ricorsi già presentati dai tribunali di Messina e di Torino se ne aggiunge ora un terzo da Perugia. Tuttavia al momento non c’è alcuna certezza. Nemmeno si sa, esattamente, quando verrà presa la decisione. Perché voci interne alla Corte sussurrano che «siamo in altissimo mare», dunque l’ipotesi di rinvio, questa è la novità, non è affatto da escludere: un rinvio di settimane, anzi di mesi, forse addirittura all’inizii del 2017. Svariati indizi fanno credere che il primo braccio di ferro, quando i 15 giudici ne discuteranno il 4 ottobre prossimo, sarà proprio sui tempi della sentenza. C’è chi la vorrebbe immediata e chi invece, compresi personaggi autorevoli come Giuliano Amato, consiglia di attendere l’esito del referendum che cadrà a fine novembre o a inizio dicembre. In modo da regolarsi di conseguenza. A quanto risulta nei piani altissimi della politica, la tesi del rinvio sta guadagnando terreno. Per due buoni motivi.
Anzitutto per questioni «tecniche». Una la suggerisce Sabino Cassese, giudice emerito della Corte: proprio in base alla riforma che voteremo nel referendum, la Consulta verrà chiamata a pronunciarsi entro 45 giorni sulla nuova legge elettorale. È sufficiente che lo chieda un quinto dei deputati o dei senatori, dunque praticamente certo. «Ma allora che senso avrebbe», domandano i fautori del rinvio, «decidere adesso quando poi fra tre mesi saremo costretti a ritornarci su, nel caso di vittoria del “sì”? Il buon senso consiglia di aspettare prima l’esito del referendum, e poi di valutare tutto insieme». È lo strano paradosso segnalato da Luciano Violante: chi desidera che la Consulta faccia le pulci all’«Italicum» deve sperare che Renzi vinca il referendum, perché successivamente (cioè entro gennaio) l’esame sarebbe più approfondito e severo.
C’è poi una seconda ragione, tutta politica, che milita a favore del rinvio. Riguarda il ruolo stesso della Corte. Che se decidesse subito, nel bel mezzo della campagna referendaria, sarebbe accusata di interferire. A vantaggio di Renzi, nel caso in cui sentenziasse che l’«Italicum» va bene così; o a danno del premier, se giudicasse la legge in tutto o in parte contraria alla Costituzione. Tra i giudici c’è chi non vede l’ora di sostituirsi ai partiti: un ruolo di supplenza che in altri casi la Consulta ha esercitato, per esempio nel 2014 rispetto al «Porcellum». Ma di giudici ce ne sono altri, forse la maggioranza, che di questo protagonismo farebbero a meno. Dunque vogliono attendere il referendum per capire come la pensa sulle riforme il popolo sovrano.
E i politici? Quasi tutti tifano per un rinvio. I renziani, anche se non lo ammetteranno mai pubblicamente, perché sperano che una vittoria del «sì» aiuti a superare le perplessità della Corte all’«Italicum». Gli avversari di Renzi, per ragioni opposte, rinvierebbero pure loro la sentenza a dopo il trionfo dei «no», che danno già per scontato. Insomma, c’è una vasta attesa per decisioni al rallentatore. Proprio per questo, nei palazzi che più contano si coglie una grande cautela. Con il risultato a portata di mano, non si vuole turbare l’autonomia della Corte né mettere in dubbio le prerogative del suo presidente, Paolo Grossi: un giurista d’altri tempi, che mai si farebbe dettare l’agenda dalla politica. Se le pressioni superassero il livello di guardia, l’effetto sarebbe sicuramente contrario a quello desiderato. Per cui la cautela prevale, e chi punta al rinvio sa che è meglio non dirlo, o comunque sussurrarlo piano.