Corriere 15.9.16
Una fecondazione senza mamma?
L’esperimento in Inghilterra: «Si possono usare spermatozoi e semplici cellule della pelle, non servono gameti femminili»
di Adriana Bazzi
Bambini
senza mamma: le tecniche di fecondazione in vitro si stanno spingendo
sempre più avanti, tanto da far pensare alla possibilità, per una coppia
gay, di avere un figlio con il patrimonio genetico di entrambi, senza
bisogno di un ovulo femminile.
Finora si è sempre creduto che non
ci potesse essere concepimento senza un ovulo e uno spermatozoo:
entrambi, infatti, contengono metà del patrimonio genetico,
rispettivamente della madre e del padre, che poi si fonderanno.
Ora
un gruppo di ricercatori dell’University of Bath, in Inghilterra,
ritiene, invece, che si possano «fecondare» con gli spermatozoi non
soltanto gli ovociti, ma anche cellule della pelle.
E hanno fatto
un primo passo, sfruttando cellule chiamate «partenogenoti» (hanno
origine da un particolare tipo di riproduzione che si chiama, appunto,
partenogenesi) che hanno fecondato con un gamete maschile. I donatori?
Animali di laboratorio, topi in particolare.
Risultato: sono nati
in tutto trenta piccoli, sani e in buona forma, con un successo del 24
per cento su tutti i tentativi, molto superiore a quello che si può
ottenere con la clonazione che, invece, funziona nell’uno-due per cento
dei casi.
«Questa prima fase dell’esperimento — ha spiegato Tony
Perry, embriologo e primo autore dello studio pubblicato su Nature
Communications — ci ha dimostrato che perché avvenga la fecondazione non
è indispensabile il classico ovocita. Adesso riproveremo non più con i
partenogenoti, ma con vere e proprie cellule della pelle».
Ecco
allora che, in un ipotetico esperimento di fecondazione in vitro per una
coppia gay, si dovrebbero usare gli spermatozoi di un partner, che già
contengono metà del suo patrimonio genetico, e le cellule cutanee
dell’altro partner, che però veicolano, all’interno del nucleo, il suo
Dna completo: sarà allora necessario dividerlo in due in modo da
ricostituire, nella cellula fecondata che darà origine all’embrione,
tutti e 46 i cromosomi (le unità che formano il Dna) delle cellule
somatiche dell’organismo.
Certo, per portare avanti una gravidanza
ci sarà sempre bisogno di un utero in affitto, ma il bambino avrà due
padri, anche geneticamente parlando.
Il nuovo scenario è
«fantasioso», come l’hanno definito gli stessi scienziati di Bath, e
perché si possa realizzare, in un futuro che comunque appare lontano,
andranno superati, oltre che ostacoli etici, anche difficoltà tecniche.
«Mi
sembra una metodica un po’ complicata — commenta Paolo Vezzoni
genetista del Cnr all’Istituto Humanitas di Milano —. È vero che da
cellule somatiche, come quelle della pelle, si sono già ottenute cellule
aploidi, cioè con metà del patrimonio genetico, gameti maschili e
femminili compresi. E questi ultimi hanno anche dato origine alla
nascita di topi sani, ma il problema è quello della sicurezza: durante
queste procedure è facile che si verificano mutazioni del Dna».
Se,
però, la nuova tecnica dovesse funzionare, potrebbe permettere di avere
figli non solo ai gay, ma anche a donne con una fertilità compromessa
perché non hanno più le ovaie o perché hanno seguito certe chemioterapie
per la cura di tumori oppure a donne avanti con gli anni oppure in
menopausa precoce.
E perché no, pensano i veterinari, potrebbe essere sfruttata per salvare specie in via di estinzione.