Corriere 12.9.16
Democratici, spunta l’ipotesi di un «sostituto»
Se la candidata non ce la dovesse fare, si dovranno riconvocare i delegati. Le opzioni per Sanders
di M. Ga.
I vertici del partito vogliono un leader più solido: Kerry e Biden potrebbero tornare in pista
Può
essere una polmonite dalla quale Hillary recupera in fretta, ma la sua
evidente fragilità, i molti problemi di salute che l’hanno afflitta
negli ultimi anni, l’età avanzata (sarebbe la seconda persona più
anziana mai eletta alla Casa Bianca dopo Reagan) e soprattutto il fatto
che le sue reali condizioni di salute sono state nascoste dal suo team
per molte ore, adesso rendono la candidatura alla Casa Bianca della ex
first lady non più così certa. Cosa accadrà se la Clinton sarà costretta
a ritirarsi dalla corsa per la presidenza?
Lo scenario è da
incubo per i democratici: le norme per casi simili ci sono, ma non
portano a conclusioni univoche e l’assenza di precedenti non aiuta. Mai
nella storia americana un candidato nominato dalla «convention» del suo
partito si è ritirato o è morto prima delle elezioni. C’è stato solo il
caso del ritiro di due candidati alla vicepresidenza, nel 1912 e nel
‘72, ma in questi casi la loro sostituzione fu meno problematica, visto
che il vice deve essere un uomo di fiducia del futuro presidente.
Nel
caso di impedimento o decesso del loro candidato, le regole del partito
democratico prevedono la convocazione dei delegati del Dnc (Democratic
National Convention), l’organo di governo del partito. A questo punto
gli scenari sono due: il Dnc, che comunque è sovrano, sceglie il secondo
candidato che ha ottenuto più voti e delegati durante le elezioni
primarie: quindi Bernie Sanders. Ma Sanders alla «convention» ha fatto
votare per acclamazione Hillary. Quindi, secondo alcune interpretazioni,
ha di fatto «neutralizzato» i suoi delegati. Secondo altri, invece,
Bernie ha mantenuto la titolarità dei delegati perché ha votato per la
Clinton, ma non l’ha «nominata».
La sostanza, comunque, sembra
essere il potere assoluto del Dnc che potrebbe valutare anche altri
nomi: personaggi considerati maggiormente capaci di prevalere nel
confronto dialettico con Trump come il vicepresidente Joe Biden. Ma c’è
anche chi vorrebbe dare un’altra chance a John Kerry sconfitto di misura
12 anni fa da un Bush già presidente e reduce da importanti successi
diplomatici nel suo attuale ruolo di segretario di Stato (dall’Iran a
Cuba alla Siria). Ci sono, poi, gli outsider come Elizabeth Warren: è
difficile che l’establishment democratico si affidi a un candidato della
sinistra radicale, ma la senatrice del Massachusetts è stata sempre
molto efficace nel contrastare dialetticamente The Donald.
Il
meccanismo per le emergenze del partito democratico è, comunque, meno
democratico di quello dei repubblicani che prevede, nel caso di ritiro o
impedimento di Trump, anche la possibilità di riconvocare la convention
del partito. Cosa quasi impossibile da realizzare in così poco tempo
(mancano meno di 60 giorni al voto). Ma, almeno in teoria, esiste anche
un’altra possibilità: quella del rinvio delle elezioni. Il secondo
articolo della Costituzione dà, infatti, al Congresso il potere di
fissare e anche di spostare la data del voto, sempre compatibilmente con
le scadenze di legge.
In teoria deputati e senatori potrebbero
lasciare invariata la data delle elezioni parlamentari (il nuovo
Congresso deve entrare in carica il primo gennaio) rinviando solo quelle
presidenziali. E il 21 gennaio, alla scadenza del suo mandato, Obama
verrebbe sostituito provvisoriamente dallo speaker della Camera. È,
però, improbabile che un Parlamento a guida repubblicana faccia ai
democratici un simile favore.