Corriere 12.9.16
La delusione di Bersani: dal premier la solita canzone
E la sinistra ufficializza il No
di Monica Guerzoni
«R
enzi a Catania? È la solita canzone...». Poche parole di Pier Luigi
Bersani che lasciano trapelare la delusione per «la chiusura sulla legge
elettorale». E la sinistra dem sempre più decisa a votare «No» al
referendum costituzionale.
ROMA Non è nello stile di Pier Luigi
Bersani parlare nel giorno in cui il segretario del Pd chiude la Festa
dell’Unità, evento tradizionalmente cruciale per la vita e la
progettualità dei dem. Ma una battuta, pronunciata a caldo dall’ex
segretario, dice l’aria che tira nella minoranza: «Renzi a Catania? È la
solita canzone...». Poche parole che lasciano trapelare la delusione
per «la chiusura sulla legge elettorale», il fastidio per l’attacco a
Massimo D’Alema — giudicato dai bersaniani «di una violenza inaudita» —,
lo sconforto per la scelta del leader di gettare sulle spalle della
sinistra la responsabilità della «guerra del fango» all’interno del Pd.
Renzi
è riuscito a spiazzare ancora una volta i suoi avversari interni. Alla
minoranza non ha concesso nulla e ha persino inasprito i toni. Magari
con l’intento di schiacciare la sinistra sullo stesso fronte di Grillo,
Berlusconi e Salvini.
Il segretario è appena sceso dal palco
quando Roberto Speranza, volato a Catania per mostrare al leader «un
segnale di attenzione», conferma la posizione di rottura: «Allo stato
delle cose il mio voto al referendum è no. Se poi nelle prossime ore
arriveranno fatti concreti in grado di cambiare l’equilibrio tra legge
elettorale e riforma costituzionale, sarò felice di valutarli. Ma al
momento è no».
L’ex presidente dei deputati dem aveva chiesto una
svolta su riforme istituzionali e questione sociale e Renzi, dice, lo ha
doppiamente deluso. Dal capo del partito si aspettava «maggiore
coraggio e un tentativo vero di abbassare i toni della polemica». Ma
«purtroppo» non è stato così e Speranza risponde al «passo indietro» di
Renzi con un passo in avanti, verso lo strappo. «Ha esagerato proprio,
così non si va da nessuna parte — confiderà in serata ai suoi —. È stato
Renzi a spingerci sul no». E adesso, si candida alla segreteria? «Il
congresso non c’entra nulla con il referendum...».
La posizione
della minoranza sarà ufficializzata dopo un incontro con i parlamentari,
ma il dado è tratto. «Non ho colto nessuna apertura, anzi direi un
passo indietro» è la lettura di Miguel Gotor, dispiaciuto per il
«cabaret del segretario su D’Alema» e anche lui convinto che «non ci
sono le condizioni per sostenere la riforma». La scelta di lanciare i
comitati per il No inasprirebbe il confronto e per ora viene rimandata.
Ma certo il discorso di Catania ha accelerato le mosse della sinistra.
«Ci si sarebbe aspettato uno sforzo unitario e toni più pacati», lamenta
Gotor.
La posizione del No è maturata, racconta la senatrice
Cecilia Guerra, con angoscia crescente e non a cuor leggero: «Non ci
sfugge che siamo un partito, ma Renzi ha messo sul piatto del referendum
il destino del Pd e del Paese e, dopo la chiusura sulla legge
elettorale, le remore non ci sono più». Voterà no? «Il mio no nel merito
è sicuro».
Il nodo che Renzi non ha sciolto è, per la minoranza,
il «combinato disposto» tra Italicum e riforma del Senato. Se non si
cambia, per Gianni Cuperlo «ognuno si assumerà le proprie
responsabilità». Al premier l’ex presidente del Pd riconosce di aver
fatto «buone cose» su Europa, disabili, migranti e unioni civili e
rimprovera di non aver messo al centro la lotta alle diseguaglianze, di
aver fatto polemica «nel nome della fine della polemica», di aver
ignorato gli appelli a cambiare l’Italicum: «Non basta dirsi pronti a
discutere, serve che il Pd e il suo leader assumano una iniziativa
pubblica e chiara». Ma forse il passaggio che più ha colpito Cuperlo è
quello su D’Alema, «parole e toni che un premier non dovrebbe
permettersi». Il leader di Sinistradem vede profilarsi i «rischi di una
rottura» e chiede a colui che è al timone, cioè Renzi, di «farsene
carico». Prima che sia tardi.