Corriere 120.9.16
Il cambio di rotta in America
L’America e la sicurezza i ripensamenti di Hillary
Una regia orchestrata da Donald Trump non avrebbe potuto fare di meglio
di Massimo Gaggi
Una
regia orchestrata da Donald Trump non avrebbe potuto fare di meglio: la
foto segnaletica di Ahmad Khan Rahami, l’afghano naturalizzato
americano appena identificato come possibile autore dell’attentato di
sabato a New York, campeggia su tutti i teleschermi d’America proprio
mentre Barack Obama sta per proporre una più ampia accoglienza di
rifugiati alla conferenza dell’Onu sui migranti. Negli stessi minuti
viene identificato anche l’estremista islamico che sabato ha pugnalato
nove persone in un mall del Minnesota: Dahir Adan, un ragazzo somalo
integrato nella società americana, studi al St. Cloud College, un lavoro
come guardia giurata.
Polizia e intelligence negli Usa
funzionano: grandi trame terroristiche sono state intercettate e
sventate, i lupi solitari vengono quasi sempre neutralizzati (Rahami
catturato dopo una fulminea caccia all’uomo). Ma l’Isis, nonostante
l’offensiva Usa che gli ha sottratto metà del territorio controllato in
Iraq e una bella fetta di quello siriano, è riuscito a moltiplicare gli
attacchi individuali. E, nell’infuocato clima della vigilia elettorale,
con un Trump scatenato, per il presidente americano è sempre più
difficile difendere la società senza steccati e l’accoglienza di
profughi dei conflitti. La ragione dice che l’America non deve
chiudersi, non deve discriminare la sua minoranza musulmana. La cui
integrazione nella cultura e nel tessuto sociale degli Stati Uniti è un
bene prezioso, da coltivare con cura.
N o al conflitto di civiltà,
non si stanca di ripetere Obama. Ma Trump gioca sulle emozioni, parla
all’America spaventata: «Stiamo lasciando crescere un cancro nella
nostra società, dobbiamo essere molto più duri: sotto la leadership
Obama-Clinton abbiamo avuto più attacchi in Patria che vittorie
all’estero».
Hillary Clinton replica che gli irresponsabili
proclami di Trump vengono usati dall’Isis come strumenti di
reclutamento, ma adesso è costretta a ammettere che l’accoglienza dei
rifugiati in America va fatta con grande prudenza, dopo controlli
severissimi.
La comunità musulmana degli Stati Uniti è sicuramente
più integrata e patriottica di quelle europee (oltre a essere di
dimensioni più ridotte). Ci sono infermiere e ingegneri islamici, molti
musulmani sono nelle forze armate e alcuni lavorano negli snodi più
delicati dell’Amministrazione. Lo stile incendiario della predicazione
di molti imam del Vecchio continente è pressoché sconosciuto in America
dove spesso i leader religiosi collaborano attivamente con le autorità
quando c’è da isolare qualche estremista pericoloso.
Obama non
vuole rinunciare a questa preziosa cooperazione. Perciò fin dalla strage
di San Bernardino, quasi un anno fa, ha continuato a ripetere
ossessivamente che pochi casi di americani che abbracciano la causa del
jihad non deve in alcun modo portare la società a emarginare o,
addirittura, discriminare la sua comunità musulmana.
Ma uno
slittamento dello stato d’animo dei cittadini ha cominciato a
manifestarsi in varie parti del Paese man mano che gli attacchi dei
«lupi solitari» si sono moltiplicati anche negli Stati Uniti e mentre in
campo repubblicano emergeva con sempre maggior forza la candidatura di
Trump con la sua promessa di sostituire la tolleranza col pugno di
ferro. Quaranta giorni fa, dopo l’assassinio del loro imam nel quartiere
di Queens, i musulmani immigrati dal Bangladesh hanno denunciato di
essere da tempo esposti a minacce e discriminazioni come non era
avvenuto nemmeno dopo le stragi di Al Qaeda dell’11 settembre 2001.
La
struttura multiculturale e multireligiosa della società americana
tiene, ma scricchiola nell’eccitazione di una corsa alla Casa Bianca
nella quale gli appelli alla moderazione e i richiami ai comportamenti
responsabili sono molto meno efficaci delle invettive e delle promesse
di «cambiare registro» tanto nella lotta contro il terrorismo quanto
nella gestione delle questioni relative all’immigrazione. Ieri il
candidato repubblicano ha introdotto un nuovo elemento di controversia
sostenendo che, per svolgere il loro compito in modo più efficace, le
polizie dovrebbero fare profiling : cioè sottoporre a un regime di
sorveglianza speciale i gruppi etnici o religiosi considerati
potenzialmente più pericolosi. «Lo fa Israele, perché non possiamo farlo
noi?» ha chiesto il miliardario di New York.
La risposta della
Clinton non si è fatta attendere: dietro le invettive del candidato
repubblicano non c’è un piano, lui non ha alcuna idea su come
intervenire efficacemente. L’ex segretario di Stato rivendica la sua
esperienza nella lotta al terrorismo e il sostegno ricevuto da molti dei
responsabili di maggior spicco delle strutture Usa responsabili per la
sicurezza del Paese. Uomini delle istituzioni, tanto democratici quanto
repubblicani.
L’appello alla razionalità, l’approccio
istituzionale, la continuità rispetto alla gestione Obama, non hanno
pagato per la Clinton quando si è parlato di economia. Nonostante
l’America cresca più dell’Europa come reddito e, soprattutto,
occupazione, a giudicare dai sondaggi pare che Trump sia riuscito a
convincere metà del Paese che questo bilancio è fallimentare. La
speranza di Obama e di Hillary è che la sfiducia verso le istituzioni,
l’insofferenza che alimenta il vento del cambiamento comunque, senza
chiedersi cosa verrà dopo, non si estenda a questioni vitali come quelle
della sicurezza. Ma intanto cambiano rotta anche loro chiamando i
giganti digitali della Silicon Valley a partecipare alla lotta contro la
propaganda terrorista via Internet.