martedì 20 settembre 2016

Corriere 120.9.16
Il cambio di rotta in America
L’America e la sicurezza i ripensamenti di Hillary
Una regia orchestrata da Donald Trump non avrebbe potuto fare di meglio
di Massimo Gaggi

Una regia orchestrata da Donald Trump non avrebbe potuto fare di meglio: la foto segnaletica di Ahmad Khan Rahami, l’afghano naturalizzato americano appena identificato come possibile autore dell’attentato di sabato a New York, campeggia su tutti i teleschermi d’America proprio mentre Barack Obama sta per proporre una più ampia accoglienza di rifugiati alla conferenza dell’Onu sui migranti. Negli stessi minuti viene identificato anche l’estremista islamico che sabato ha pugnalato nove persone in un mall del Minnesota: Dahir Adan, un ragazzo somalo integrato nella società americana, studi al St. Cloud College, un lavoro come guardia giurata.
Polizia e intelligence negli Usa funzionano: grandi trame terroristiche sono state intercettate e sventate, i lupi solitari vengono quasi sempre neutralizzati (Rahami catturato dopo una fulminea caccia all’uomo). Ma l’Isis, nonostante l’offensiva Usa che gli ha sottratto metà del territorio controllato in Iraq e una bella fetta di quello siriano, è riuscito a moltiplicare gli attacchi individuali. E, nell’infuocato clima della vigilia elettorale, con un Trump scatenato, per il presidente americano è sempre più difficile difendere la società senza steccati e l’accoglienza di profughi dei conflitti. La ragione dice che l’America non deve chiudersi, non deve discriminare la sua minoranza musulmana. La cui integrazione nella cultura e nel tessuto sociale degli Stati Uniti è un bene prezioso, da coltivare con cura.
N o al conflitto di civiltà, non si stanca di ripetere Obama. Ma Trump gioca sulle emozioni, parla all’America spaventata: «Stiamo lasciando crescere un cancro nella nostra società, dobbiamo essere molto più duri: sotto la leadership Obama-Clinton abbiamo avuto più attacchi in Patria che vittorie all’estero».
Hillary Clinton replica che gli irresponsabili proclami di Trump vengono usati dall’Isis come strumenti di reclutamento, ma adesso è costretta a ammettere che l’accoglienza dei rifugiati in America va fatta con grande prudenza, dopo controlli severissimi.
La comunità musulmana degli Stati Uniti è sicuramente più integrata e patriottica di quelle europee (oltre a essere di dimensioni più ridotte). Ci sono infermiere e ingegneri islamici, molti musulmani sono nelle forze armate e alcuni lavorano negli snodi più delicati dell’Amministrazione. Lo stile incendiario della predicazione di molti imam del Vecchio continente è pressoché sconosciuto in America dove spesso i leader religiosi collaborano attivamente con le autorità quando c’è da isolare qualche estremista pericoloso.
Obama non vuole rinunciare a questa preziosa cooperazione. Perciò fin dalla strage di San Bernardino, quasi un anno fa, ha continuato a ripetere ossessivamente che pochi casi di americani che abbracciano la causa del jihad non deve in alcun modo portare la società a emarginare o, addirittura, discriminare la sua comunità musulmana.
Ma uno slittamento dello stato d’animo dei cittadini ha cominciato a manifestarsi in varie parti del Paese man mano che gli attacchi dei «lupi solitari» si sono moltiplicati anche negli Stati Uniti e mentre in campo repubblicano emergeva con sempre maggior forza la candidatura di Trump con la sua promessa di sostituire la tolleranza col pugno di ferro. Quaranta giorni fa, dopo l’assassinio del loro imam nel quartiere di Queens, i musulmani immigrati dal Bangladesh hanno denunciato di essere da tempo esposti a minacce e discriminazioni come non era avvenuto nemmeno dopo le stragi di Al Qaeda dell’11 settembre 2001.
La struttura multiculturale e multireligiosa della società americana tiene, ma scricchiola nell’eccitazione di una corsa alla Casa Bianca nella quale gli appelli alla moderazione e i richiami ai comportamenti responsabili sono molto meno efficaci delle invettive e delle promesse di «cambiare registro» tanto nella lotta contro il terrorismo quanto nella gestione delle questioni relative all’immigrazione. Ieri il candidato repubblicano ha introdotto un nuovo elemento di controversia sostenendo che, per svolgere il loro compito in modo più efficace, le polizie dovrebbero fare profiling : cioè sottoporre a un regime di sorveglianza speciale i gruppi etnici o religiosi considerati potenzialmente più pericolosi. «Lo fa Israele, perché non possiamo farlo noi?» ha chiesto il miliardario di New York.
La risposta della Clinton non si è fatta attendere: dietro le invettive del candidato repubblicano non c’è un piano, lui non ha alcuna idea su come intervenire efficacemente. L’ex segretario di Stato rivendica la sua esperienza nella lotta al terrorismo e il sostegno ricevuto da molti dei responsabili di maggior spicco delle strutture Usa responsabili per la sicurezza del Paese. Uomini delle istituzioni, tanto democratici quanto repubblicani.
L’appello alla razionalità, l’approccio istituzionale, la continuità rispetto alla gestione Obama, non hanno pagato per la Clinton quando si è parlato di economia. Nonostante l’America cresca più dell’Europa come reddito e, soprattutto, occupazione, a giudicare dai sondaggi pare che Trump sia riuscito a convincere metà del Paese che questo bilancio è fallimentare. La speranza di Obama e di Hillary è che la sfiducia verso le istituzioni, l’insofferenza che alimenta il vento del cambiamento comunque, senza chiedersi cosa verrà dopo, non si estenda a questioni vitali come quelle della sicurezza. Ma intanto cambiano rotta anche loro chiamando i giganti digitali della Silicon Valley a partecipare alla lotta contro la propaganda terrorista via Internet.