Avvenire 28.09.16
Nazismo, fu colpa o pregiudizio?
di Paolo Simoncelli
La
colpa della Germania, la Shoah, la vita universitaria tedesca…,
d’improvviso appaiono come fotogrammi spericolatamente divaricanti
dall’incontrovertibile immagine politico-morale dei fatti. La sorpresa
viene da un breve, intenso carteggio tra due grandi intellettuali ebrei
tedeschi rifugiati negli Stati Uniti: il grande storico della filosofia
rinascimentale, Paul Oskar Kristeller (Berlino 1905 - New York 1999), e
l’altrettanto famoso musicologo rinascimentalista, Edward Lowinsky
(Stoccarda 1908 - Chicago 1985). Più noto Kristeller che, allievo di
Heidegger, nel ’33 poté rifugiarsi nell’Italia fascista al pari di altri
ebrei suoi connazionali grazie a Gentile e insegnare tedesco alla
Normale di Pisa fino al ’38. Lowinsky lasciata parimenti la Germania nel
’33, si trasferì in Olanda, da dove nel ’39 emigrò in America. Vite
diverse congiunte dal conseguimento del dottorato a Heidelberg
(rispettivamente nel ’29 e ’33), dal rifugio e poi dall’insegnamento
universitario negli Stati Uniti. Il loro lungo carteggio, avviato nel
’43 e concluso alla morte di Lowinsky, testimonia un’amicizia salda
improvvisamente a rischio di una traumatica lacerazione politica. Ce la
indicano alcune loro lettere straordinarie scambiate tra il dicembre
1982 e l’aprile 1983, ora edite da uno storico statunitense del
Rinascimento, Antony Molho, in una miscellanea di studi offerta a
Riccardo Fubini ( Il laboratorio del Rinascimento, a cura di Lorenzo
Tanzini, Le Lettere, pagine 294, euro 28.00). Kristeller ebbe l’onore
d’essere invitato a Heidelberg a festeggiare il cinquantesimo del suo
dottorato; una cerimonia ufficiale cui presero parte le massime autorità
accademiche, durante la quale tenne la lezione Philosophie und
Gelehersamkeit. Prestigiosa, normale cerimonia universitaria; ma a
distanza di alcuni anni Lowinsky, avuto già il testo della lezione
dell’amico, il 17 dicembre ’82 gli scrisse garbatamente eccependo che vi
mancava il ricordo dei tanti ebrei che non erano sopravvissuti, che non
si poteva né doveva dimenticare il tracollo morale delle Università
tedesche al- l’avvento del nazismo, e che gli sarebbe sembrato doveroso
un pubblico ringraziamento agli Stati Uniti per quanto fatto per tutti
loro. Una settimana dopo Kristeller rispondeva essere vicende note a
ognuno e che non aveva mosso accuse ai nazisti non essendovene alcuno
presente a quella cerimonia; comunque il suo primo libro del dopoguerra
(voluto pubblicare in italiano, Il pensiero filosofico di Marsilio
Ficino) l’aveva dedicato alle vittime del nazismo; infine, in merito
all’atteggiamento delle Università tedesche, Kristeller evocava il
cedimento, senza alcun rischio, dei professori americani alla pressione
(e alla moda) della contestazione degli anni ’60: come fatto sì dai
professori tedeschi nel ’33, ma di fronte a ben gravi rischi. Il
diverbio sale di tono e s’allarga a temi diversi e connessi. Lowinsky
replica il 5 gennaio ’83, profilando una responsabilità collettiva
tedesca (un popolo coraggioso militarmente, non civilmente), ricordando
per contro il rettore dell’Università di Leida, Johan Huizinga che,
occupata l’Olanda dai tedeschi, piuttosto che subirne controlli e norme
discriminatorie, preferì chiudere l’Università finendo (e morendo) in
prigione a De Steeg (Arnhem); invece Karl Jaspers nel ’33 aveva iniziato
i suoi corsi di filosofia ad Heidelberg col saluto a Hitler (finendo
comunque sollevato dalla cattedra nel ’37). Il 13 seguente, la replica
di Kristeller, noto liberal-conservatore, è platealmente not politically
correct: glielo consentiva la sua drammatica storia personale e
familiare (morti i genitori nel lager di Theresienstadt nel ’42, ad
Auschwitz i parenti della moglie). Rievoca allora un caleidoscopio di
intellettuali tedeschi che avevano marcato la vita culturale europea
negli anni ’20 e ’30, weimariani, nazisti e non nazisti, noti e meno
noti, giovani studiosi o professori affermati, affollando la lettera di
richiami a Cassirer e Panofsky, Nussbaum e Klibansky, ebrei abilitati
all’insegnamento negli anni ’20, poi Walter Bulst, Ernst Hoffmann,
Herbert Dieckmann che addirittura recensì il Supplementum ficinianum
dell’ebreo Kristeller sulle 'Romanische Forschungen' del ’39. Lo stesso
Heidegger, ricorda Kristeller, lo aveva ripetutamente aiutato. E in
proposito aggiunge un’attendibile testimonianza (« good testimony ») che
dava Heidegger distaccato dal nazismo ai primi del ’36 se non già nel
’35; nel dopoguerra, dopo lunghe esitazioni, Kristeller aveva quindi
ripreso i contatti con lui. Kristeller procedeva dunque contro
un’inaccettabile genericità di giudizi, in particolare da parte di
intellettuali e ricercatori: la cultura tedesca non aveva prodotto il
razzismo, né quindi lui credeva in una “colpa collettiva” della
Germania. Il che non significava ridurre il portato delle atrocità
commesse dai nazisti; i civili tedeschi accampavano improbabili scuse di
non sapere dei lager e di ciò che vi accadeva, pure, in qualche caso,
davvero non sapevano. Ma altrettanto vere e inescusabili erano le
atrocità occorse che, scrive Kristeller, non avevano avuto uguali né
precedenti; paragoni recenti per Kristeller potevano essere il
trattamento inferto dai turchi ad armeni e greci, e quello subìto dalle
popolazioni tedesche orientali alla fine della guerra. E tornando a
parlare ancora della vita universitaria americana (e della sottostima
delle scienze umanistiche) ricordava la confidenza di un suo collega che
di fronte alla contestazione studentesca riteneva opportuno adeguarsi
per salvare il salvabile: parli come i professori tedeschi nel ’33, era
stata la replica. Nell’ultima lettera ora edita, Kristeller volle
testimoniare in modo bruciante come la sua inesausta battaglia per
tenere la filosofia e la storia lontane dalle falsificazioni indotte
dall’ideologia, fosse stata persa quando in America, la new left aveva
introdotto la politica nelle aule e con essa la pretesa di sostituirsi
alla serietà degli studi. Aveva conosciuto e combattuto invano la
sostanza di ogni totalitarismo, brutale o sofisticato: il conformismo
della cultura.