Repubblica 27.8.16
Birra
Così il nettare delle dee egizie diventò un’icona proletaria
È
la prima bibita creata dall’uomo, diffusa in tutte le antiche civiltà
Ma è la rivoluzione industriale a trasformarla in consumo di massa
di Marco Belpoliti
La
birra è stata la prima bevanda alcolica che ha bagnato le labbra umane.
La prima bibita in assoluto, e anche la più facile da produrre. Nel
4000 a.C. c’era già. Segue la cosiddetta domesticazione dei cereali. C’è
un pittogramma, proveniente dalla Mesopotamia, dove si vedono due
figure umane intente a sorbire birra da un vaso di coccio munite di una
cannuccia. La birra viene dalla zuppa che i nostri antenati sorbivano:
orzo e frumento. Dalla fermentazione di questa pappa, dagli zuccheri che
si trasformano in alcol grazie all’azione dei lieviti. Nel recipiente
galleggiano chicchi, loppa e altri resti, da cui l’uso della cannuccia.
Ha ragione Tom Standage quando scrive che questa bevanda alcolica non è
stata inventata, ma scoperta. Più a lungo si lascia fermentare il grano trasformato in malto, più è alcolica la bevanda.
Non
c’è popolo della Mezzaluna Fertile che non la conoscesse. Gli egiziani
producevano ben 17 tipi diversi di birra, per non parlare dei sumeri.
Dalle Americhe all’Africa e all’Eurasia era conosciuta da molti popoli e
civiltà. Le tecniche per filtrarla si diffondono ben presto, così come
l’avvento della ceramica produce i bicchieri per berla singolarmente.
Nel poema di Gilgamesh, poema sumerico (2600-2500 a. C.), viene narrata
la storia di Enkidu, uomo selvatico, introdotto alla civiltà da una
giovane donna. Lei lo conduce in un villaggio di pastori e gli fa
assaggiare la birra: sette brocche beve Enkidu. Diventa allegro e canta
con gioia; è alticcio, ubriaco, ma proprio così diventa umano: «Si
spruzzò d’acqua il corpo irsuto/ si cosparse d’olio e diventò umano».
La
birra è anche un prodotto delle mani femminili. Sono le donne che la
realizzano. Non a caso sono dee che la proteggono. Hathor mandata da Ra,
divinità egizia, a sterminare gli uomini, si ubriaca di birra e si
addormenta: sarà la dea della birra e della sua fabbricazione. Ninkasi è
invece quella sumera e Menget, egizia, protegge le donne che la
preparano.
Non è ancora la birra che conosciamo noi, perché il
luppolo non è entrato nella formula, ma costituisce uno degli elementi
principali della alimentazione. Poiché conservarla a lungo era
difficile, veniva bevuta prima della fermentazione, quando ancora gli
zuccheri si stanno mutando in alcol, così che ha una bassa gradazione;
tuttavia è ricca di lieviti in sospensione e questo aumenta di molto il
contenuto delle vitamine e proteine, in particolare della vitamina B,
che compensa il basso consumo di carne in un periodo in cui la caccia
sta cedendo alla agricoltura. La cosa notevole è che la birra resterà
per migliaia d’anni la bevanda alcolica più bevuta; il vino è più raro e
complicato da produrre, a partire dalla coltivazione della pianta, la
vite.
Nel Medioevo la birra è alla base della alimentazione, prima
che il vino le contenda il primato. Ma i contadini, la povera gente,
non avrà accesso al vino per lungo tempo, bevanda molto più costosa,
genere di lusso, nonostante che sia già conosciuta dall’epoca del re
assiro Assurnasirpal II (870 a. C. circa); il sovrano per mostrare la
propria potenza e ricchezza ricorre alla “birra delle montagne”, ovvero
al vino.
La birra, scrive Standage, permea le vite dei popoli
dell’Egitto e della Mesopotamia dalla nascita alla morte. Nel Medioevo
saranno i monaci a produrla, come certificano ancora oggi marchi e nomi
di pregiate birre in commercio. Sono loro a introdurre il luppolo che
farà della birra della Mezzaluna Fertile la bevanda che beviamo ancora
oggi. Si distingue così tra cervogia, che è prodotta con grano, orzo, e
birra, che è invece quella fatta col luppolo. Un medioevalista francese,
Jean Verdon, sostiene che si parla di birra solo dal IX secolo; la
parola stessa viene dal neerlandese, appare in fiammingo, bier, solo nel
XII secolo e in francese nel XV. Bisognerà attendere la fine del
Medioevo perché il luppolo trionfi davvero.
Sono le abbazie che la
producono, lontano dalle città, e pertanto non in grado di
commercializzarla: uso e consumo limitato ai monaci. Il più antico
diritto di fabbricarla che conosciamo rimonta al 974, una chiesa di
Liegi, concesso dall’imperatore Ottone II. In questo periodo la birra
assume vari nomi: brumas, da Brema; homberg, da Amburgo; hoppe, di
luppolo; hacquebart, birra leggera; brouquin, forte. Il Nord Europa
preferisce la birra, mentre il Sud si orienta verso il vino. Resterà
così per secoli. La birra avrà due concorrenti: il sidro che, sostiene
Verdon, nel XV secolo ha la meglio; e il vino, che va affermandosi pian
piano.
Tuttavia la birra resterà, come il tabacco, legata prima di
tutto al mondo militare. Dall’epoca degli assiro-babilonesi ai soldati
di ventura del Rinascimento, sino agli eserciti moderni, la birra sarà
fondamentale per l’apporto energetico. Fino a che l’arrivo dello
zucchero e del tè non la scalzeranno definitivamente dal desco operaio.
In una famosa incisione di William Hogarth, Beer Street (1751) si
contrappone a Gin Lane, all’epoca della “epidemia di gin”, quando
l’acquavite sopravanza la birra moderatamente alcolica causando gravi
danni in Inghilterra. Il proletariato lascia la birra per il distillato
con conseguenze nefaste. La birra non è solo una bevanda, ma dall’epoca
egizia sino al Medioevo è anche un modo di consumarla: bere alcol crea
comunità. Karl Kautsky, il marxista tedesco, sosteneva che senza osteria
«per il proletariato tedesco non solo non c’è vita sociale ma nemmeno
politica». La birra è stato perciò anche un carburante politico oltre
che energetico. Almeno fino a che non è diventata, come accade ora, una
bevanda cool. Nessuno saluta più con l’espressione “pane e birra”,
tuttavia si continua a brindare “alla salute”, retaggio della antica
fede nelle qualità magiche di quei calici che s’alzano.
Sarà la
rivoluzione industriale con le sue tecniche di pastorizzazione nel 1876 a
cambiare il modo di produrla. Birra, e sai quello che bevi.
Per saperne di più
T.
Standage in Una storia del mondo in sei bicchieri (Codice edizioni) vi
dedica un ampio capitolo; J. Verdon ne racconta la storia medievale in
Bere nel Medioevo (Edizioni Dedalo); W. Schivelbusch ne fa ampi cenni in
Storia dei generi voluttuari (Bruno Mondadori); Giuseppe Vaccarini
fornisce molte utili informazioni sulla birra del passato e del presente
in Il manuale della birra (Hoepli).
6. Continua