sabato 27 agosto 2016

La Stampa 27.8.16
Investire nella prevenzione costa caro ma si risparmia in vite umane e ricostruzioni
Per incentivare la messa in sicurezza degli stabili si pensa di introdurre sgravi fiscali oggi non previsti
di Alessandro Cassinis


Trecento miliardi di euro: è il prezzo da pagare per difendere Casa Italia dai terremoti, non vedere più crollare interi paesi per una scossa di magnitudo 6 e soprattutto non contare così tanti morti sotto le macerie. Con questa cifra si potrebbero fare le valutazioni sulla vulnerabilità sismica degli edifici storici e delle abitazioni private nelle zone 1, 2 e 3, quelle a maggior rischio di terremoti, intervenire sulle case più fragili con lavori di adeguamento alla normativa più recente e completare le azioni già previste dalla legge per gli edifici pubblici e le infrastrutture di interesse strategico.
È una cifra astronomica, ma è l’unica via di uscita dalla logica di intervenire solo dopo la catastrofe, che dal Belice all’Emilia ci è costata cinquemila morti e 121 miliardi di euro soltanto per i danni diretti, più di 17 miliardi a terremoto.
Ad aiutarci in questo conteggio della prevenzione è il professor Mauro Dolce, direttore generale e consulente scientifico del capo del Dipartimento della Protezione civile, fra i «padri» di quell’articolo 11 della legge 77 che nel 2009 ha istituito il fondo per la prevenzione del rischio sismico: finora lo Stato vi ha versato solo 965 milioni in sette anni, di cui 44 milioni disponibili nel 2016. Ma si spera che dopo Amatrice e Accumoli il rifinanziamento sarà molto più consistente.
«Il conto è presto fatto - spiega Dolce dalle zone terremotate -. Ci sono 10 milioni di abitazioni fortemente inadeguate nelle zone sismiche 1, 2 e anche nella 3 (dove si possono verificare terremoti «forti ma rari» come quello dell’Emilia del 2012, ndr). Se consideriamo una superficie media di 100 metri quadri e un costo di intervento minimo di 200 euro al metro, ecco che arriviamo a 200 miliardi solo per i privati». E il pubblico? «Sempre limitandoci alle zone 1, 2 e 3, ossia al 70% del territorio, il miglioramento degli edifici scolastici costa 13 miliardi, il loro adeguamento 20. Il resto dell’edilizia pubblica strategica (caserme, centrali operative, ospedali) richiede altri 50-60 miliardi. Con le infrastrutture e i beni culturali si arriva a 100. Totale, 300 miliardi».
A chi tocca pagare per la prevenzione? C’è la strada americana, la più drastica, che impone al cittadino di assicurare la casa contro il rischio sismico perché lo Stato pensa solo ai palazzi pubblici. In molte zone “rosse” degli Stati Uniti, il proprietario deve far verificare a sue spese l’edificio se costruito prima delle norme tecniche in vigore. Se non lo fa, o se l’esame va male, una targa bene in vista avvertirà che quella costruzione «non è rinforzata» o «pericolosa» e che «all’interno o nelle vicinanze si può non essere al sicuro durante un terremoto».
Anche in Italia si è parlato molto di polizza antisismica obbligatoria, ma si è capito presto che era un argomento impopolare, anche perché al contrario di altre assicurazioni non è detraibile dalle tasse. Dopo il 24 agosto sono in molti a rilanciare questo strumento legandolo a una sorta di certificato di idoneità statica o di classificazione della vulnerabilità sismica. Tanto più «resistente» è un immobile, tanto meno il proprietario pagherà di assicurazione. Se decide di investire per passare a una classe più favorevole e dimostra di averlo fatto con una seconda valutazione dopo i lavori, otterrà dallo Stato un contributo, meglio se esteso al condominio per rendere più sicuro l’intero caseggiato.
Ma dai paesi del Centro Italia in macerie, al termine del terzo giorno massacrante, Dolce mette in guardia dai facili ottimismi. «Difficile che il proprietario di una casetta sull’Appennino si impegni a pagare premi molto alti, e se avesse uno sconto sarebbe meno incentivato a fare miglioramenti. Le verifiche sismiche sono molto costose, nell’ordine di 10-20 mila euro a immobile. Non c’è la bacchetta magica. Però la strada della prevenzione e della riduzione del rischio è quella giusta e bisogna trovare gli strumenti opportuni per intraprenderla».
Non ci sono modelli nel mondo che possano essere direttamente applicabili all’Italia: difficile trovare un Paese a forte rischio sismico che abbia una tale concentrazione di patrimonio edilizio storico e di vecchi paesini. Eppure è il nostro patrimonio più diffuso e va difeso: per salvare vite umane e per abbattere il costo delle ricostruzioni, che sono comunque a carico di tutti i cittadini, anche di quelli che vivono in case antisismiche o in zone a basso rischio.