il manifesto 27.8.16
La Buona Scuola non sa leggere la Costituzione
di Alberto Lucarelli
A
pochi giorni dall’inizio del nuovo anno scolastico decine di migliaia
di docenti (gli esiliati) sono costretti alla “mobilità forzata”,
principalmente dal Sud al Nord, sulla base del mitico algoritmo che ha
attribuito i trasferimenti senza tener conto, tra l’altro, di situazioni
personali, anzianità di servizio e dei carichi familiari.
Tra gli
obiettivi della Buona Scuola c’è quello di ‘stabilizzare’ il personale
precario della scuola pubblica che da anni, per effetto di normative
sempre diverse, aveva conseguito l’abilitazione all’insegnamento o era
comunque stato inserito nelle graduatorie provinciali dalle quali
avrebbero dovuto essere assorbiti i docenti da destinare alle attività
di supplenza.
Proprio per contenere gli effetti di questa
distorsione e, al contempo, per dare una soluzione compatibile con
quanto stabilito dall’art. 97 co. 3 Cost. (che impone il concorso per
l’accesso ai ruoli del pubblico impiego, fatte salve deroghe disposte
per legge), la legge 107 del 2015 ha disposto il suddetto procedimento
straordinario di reclutamento. Tuttavia, la legge, in diverse sue parti,
configura un procedimento che pone forte dubbi di legittimità
costituzionale.
Il fine di garantire i diritti dei lavoratori
precari della scuola costituisce, come si è detto, l’elemento principale
della ratio dell’intervento legislativo, tuttavia, tale obiettivo è
conseguito attraverso un percorso che ingiustificatamente, e con
evidenti profili di irragionevolezza, scarica i diritti già maturati da
tanti docenti.
In particolare, una categoria di docenti
particolarmente numerosa e strutturata nel tempo, in palese violazione
del principio di eguaglianza, viene irragionevolmente equiparata, da
parte della legge, ad altre categorie di docenti non omogenee con un
grave danno al loro status giuridico. I docenti appartenenti ad altre
categorie, reclutati in fasi successive, hanno paradossalmente potuto
fruire di maggiori disponibilità sia nell’ambito geografico di
riferimento che nei settori di concorso per i quali risultavano
abilitati. In sostanza, il legittimo affidamento di migliaia di docenti,
riposto nelle norme che hanno disciplinato il loro reclutamento nel
personale scolastico, è stato completamente stravolto.
Migliaia di
docenti erano iscritti in graduatorie di carattere provinciale ed
avevano a suo tempo espresso un’opzione, imposta dalla legge, per
delimitare l’ambito geografico in cui avrebbe potuto avvenire la loro
assunzione negli organici della scuola.
La legge sulla Buona
Scuola non ha rispettato la delimitazione dell’ambito provinciale,
imponendo una scelta su base nazionale. Tutto questo, benché migliaia di
docenti ammessi al procedimento straordinario di reclutamento, avessero
fino a quel momento lavorato per maturare i titoli necessari
all’assunzione in quel determinato contesto provinciale, proiettando
anche la propria dimensione personale e in molti casi familiare in
quell’ambito.
A ciò si aggiunga che la legge, pur lasciando
formalmente alla libera scelta del docente l’indicazione delle
preferenze geografiche, ha stabilito che in caso di mancata accettazione
della proposta di assunzione (nella provincia in cui si sarebbe
determinata la disponibilità di organico), il docente sarebbe stato
escluso dalle graduatorie e non avrebbe potuto partecipare alle
ulteriori fasi della straordinaria procedura di reclutamento.
Sono
del tutto evidenti le violazioni dei diritti individuali dei soggetti
coinvolti, i quali sono stati di fatto ‘costretti’ ad accettare una
proposta di assunzione in un ambito geografico del tutto diverso, pur di
preservare la legittima aspettativa all’assunzione.
Inoltre, va
detto che i meccanismi di reclutamento prefigurati dalla legge, così
come attuati in sede esecutiva (il mitico algoritmo), hanno di fatto
reso impossibile sia la verifica dei criteri, in base ai quali è stata
stilata la graduatoria tra gli aspiranti, sia la verifica dei criteri e
delle modalità con le quali sono stati rilevati dal Ministero i posti
disponibili per le assunzioni.
Ciò implica una palese violazione
dei principi di trasparenza dell’azione amministrativa, non potendosi in
alcun modo escludere che siano stati compiuti arbitri o violazioni
della discrezionalità da parte dell’autorità amministrativa investita
del compito di stilare la graduatoria tra gli aspiranti. In altri
termini, non sono conoscibili i criteri in base ai quali i singoli
docenti hanno ricevuto la proposta di assunzione.
Anche in questa
chiave, emergono palesi violazioni, oltre che del principio di
eguaglianza e di ragionevolezza (art. 3 Cost.), altresì del buon
andamento e dell’imparzialità della pubblica amministrazione (art. 97
Cost.).
Il confronto tra le soluzioni normative adottate dallo
Stato italiano e le decisioni sovranazionali, che sono alla base del
percorso di stabilizzazione dei precari della scuola, fa emergere
l’inadeguatezza delle scelte legislative rispetto ai diritti delle
persone che la Corte europea dei diritti dell’Uomo aveva inteso
garantire e tutelare con le sue decisioni.
In questo senso
emergono sia la violazione dell’art. 117 co. 1 Cost., che impone al
legislatore italiano il rispetto degli obblighi derivanti dall’adesione
alla convenzione Edu, sia la violazione dei diritti delle persone e dei
lavoratori che sia la Carta costituzionale che la Cedu tutelano e
garantiscono.