Corriere 27.8.16
Questa estate il muro di Berlino è caduto alla rovescia
di Jean-Marie Colombani
La
nomina di Donald Trump come candidato del partito repubblicano alla
presidenza degli Stati Uniti; il voto a favore della «Brexit»; il
terribile attentato del 14 luglio a Nizza; il fallito colpo di Stato in
Turchia sfruttato dal presidente Erdogan per avviare una gigantesca
purga: ognuno di questi eventi parla da sé. Sommati tra loro — in un
combinato disposto di esplosione del populismo, ascesa
dell’autoritarismo e amplificazione della minaccia terroristica — fanno
probabilmente di questa estate una sorta di caduta del Muro di Berlino
alla rovescia, la manifestazione più evidente di un possibile regresso
storico: quello della democrazia liberale.
Il contesto è, in ogni
caso, quello di una sfiducia profonda e inedita rispetto a quest’ultima,
il più delle volte in nome del rifiuto della globalizzazione, che
colpisce tanto le sue tradizionali terre d’elezione (gli Stati Uniti,
dove secondo i sondaggi solo il 10% della popolazione si fida dei suoi
rappresentanti, un dato inaudito; e la vecchia Europa, con la Gran
Bretagna che registra il più alto livello di sfiducia di sempre) quanto
le realtà conquistate più di recente (gli ex Paesi dell’Est fautori
della democrazia «illiberale»).
Donald Trump ha ottenuto la sua
investitura con una promessa: quella di erigere un muro per bloccare
l’immigrazione, di rimandare «a casa loro» qualcosa come undici milioni
di immigrati (latinos e musulmani, secondo lui). Un identico rifiuto
dell’immigrazione, stavolta intraeuropea, ha alimentato la vittoriosa
campagna dell’Ukip di Nigel Farage a favore della «Brexit». Allo stesso
modo, l’afflusso di rifugiati è il pretesto scelto da quegli ex Paesi
dell’Est (Ungheria, ma anche Slovacchia e Polonia) il cui ostentato
«illiberalismo» maschera sempre di meno una tentazione autoritaria. Il
ripiegamento e il rifiuto di ogni forma di immigrazione — sempre più
spesso assimilata all’islamismo — sono anche il core business
dell’estrema destra francese; la quale potrebbe ben avvicinarsi al
potere: di fronte agli attentati, l’opinione pubblica è esposta alla
tentazione di passare da una richiesta di «maggiore autorità» a un
appello al regime autoritario.
Dopo tutto, agli occhi di una parte
di quella stessa opinione il modello da imitare si incarna nella
persona di Vladimir Putin, un leader che fa sempre piazza pulita attorno
a sé.
La novità non risiede certo nel populismo in quanto tale:
la tentazione del ripiegamento e del protezionismo è permanente. Sta
piuttosto nella sua ritrovata popolarità, malgrado le lezioni della
Storia, ovunque con lo stesso repertorio di argomentazioni: le
istituzioni rappresentative, ostaggio delle élite, sarebbero l’ostacolo
che si frappone all’applicazione di una volontà popolare che non accetta
gli immigrati, né il libero scambio, né l’Europa, e ancor meno le
garanzie accordate alle minoranze. Uno dei paradossi di questa
situazione è che la sinistra, essendo esposta alla minaccia più
immediata, dovrebbe schierarsi in prima fila e combattere con le unghie e
coi denti. Ora, in Europa essa batte ovunque in ritirata; quando non è
avviata al suicidio, come in Francia e in Gran Bretagna, succube in
qualche modo dell’estrema sinistra.
Donald Trump dovrebbe perdere
la sua scommessa, grazie all’eterogeneità dell’elettorato americano e al
senso di responsabilità di una parte dei repubblicani. Tuttavia, per
quanto brutale e caricaturale sia stato il suo messaggio, ne è scaturito
un potente movimento d’opinione che lascerà tracce durature e ha già
fatto presa in Europa.
Il successo della democrazia liberale,
nella seconda metà del Ventesimo secolo, si è fondato sull’estensione
del campo d’azione e della prosperità delle classi medie all’interno di
società globalmente omogenee, nella cornice di un ordine mondiale
stabile e trasparente. Viviamo in un’epoca in cui, in mancanza di
crescita e di meccanismi di correzione delle disuguaglianze, le classi
medie sono stagnanti e temono un declassamento, in seno a società sempre
più eterogenee, e in uno scenario mondiale instabile e oscuro. Tutto
questo mentre la rivoluzione digitale, fattore di accelerazione e dunque
d’angoscia, cancella l’idea stessa di rappresentanza.
Ora più che mai, dunque, occorre fare di tutto per evitare che la demagogia abbia la meglio sulla democrazia.
(traduzione di Enrico Del Sero)