Corriere 27.8.16
I genitori e i super figli. Le radici del bullismo
di Silvia Vegetti Finzi
Grandi
aspettative, richiesta di successi scolastici e sportivi: ecco come (e
quando) l’agonismo di mamma e papà creano inadeguatezza. E quindi
aggressività
Nel tempo della «paura liquida», il problema del
bullismo sembra essere uscito dalle aule scolastiche per rivelarsi un
fenomeno collettivo vasto e complesso.
Come sopraffazione
frequente e ripetuta del più forte sul più debole, il bullismo è sempre
esistito, ma le modalità con cui ultimamente si manifesta sono del tutto
nuove. Nella famiglia patriarcale era l’esito di un’educazione
autoritaria e punitiva, per cui i figli erano indotti, aggredendo i
compagni, ad agire attivamente quanto avevano subito passivamente.
Nell’attuale famiglia, permissiva e iperprotettiva, è difficile per i
figli prendere le distanza dai genitori per diventare se stessi, magari
diversi da come li avevano sognati. Nell’era dell’agonismo i ragazzi
sono sottoposti a una pressione fortissima da parte delle famiglie che
spesso pretendono l’impossibile: che siano i primi nella scuola, nello
sport, che esprimano talenti. Sognando per loro il premio Nobel per la
scienza e la medaglia d’oro alle Olimpiadi.
L’eccesso di
aspettative rischia di scatenare un senso di inadeguatezza che può
trasformarsi in aggressività nei confronti di se stessi o dei coetanei.
Per i figli è difficile contrapporsi a genitori iperprotettivi,
amorevoli e accudenti, che agiscono solo per «amore». Per la loro
incolumità non gli permettono di affrontare rischi e pericoli, per
renderli felici non gli fanno mancare nulla, per garantirgli un futuro
di successo scelgono per loro le scuole, lo sport, gli amici, le
vacanze, la facoltà universitaria, la professione. Con il risultato di
crescerli fragili e insicuri, privi di anticorpi contro le inevitabili
frustrazioni della vita. Non riuscendo a sottrarsi alle aspettative dei
genitori, finiscono spesso per sentirsi irrisolti e inadeguati. E
l’aggressività, potenziata dallo sviluppo sessuale, anziché essere
utilizzata per emanciparsi dalla dipendenza infantile, è rivolta contro
sé o contro gli altri. Nel primo caso i ragazzi, convinti di non
potercela fare, si ritirano dalla competizione e, chiudendosi nella
cameretta, s’immergono nel mondo virtuale, dove tutto sembra possibile.
Nel secondo decidono di proiettare sugli altri le parti inaccettabili di
sé. In questa prospettiva, ogni forma di diversità risulta persecutoria
per cui si sentono autorizzati ad aggredire il compagno gay, oppure
l’extracomunitario, l’handicappato, quello troppo grasso o troppo basso,
il primo della classe o il «bravo bambino della sua mamma».
Il
luogo privilegiato è la scuola, dove il bullo trova complici e
spettatori pronti a partecipare e approvare i suoi comportamenti
violenti. Poiché il bullismo finisce per coinvolgere tutta la classe,
l’attenzione degli insegnanti deve estendersi alle relazioni che
intercorrono tra gli alunni.
Così come non è possibile tracciare
un identikit del bullo, anche la personalità della vittima non è
facilmente individuabile. Si tratta per lo più di ragazze alle quali
vengono sottratte immagini compromettenti da divulgare in Internet. Ma
esiste anche un bullismo femminile che provoca lividi dell’anima ancor
più dolorosi di quelli del corpo. Di fronte a quella che si presenta
come un’epidemia sociale, occorre affinare la sensibilità, promuovere
l’ascolto, cogliere e decifrare i segnali di malessere che i ragazzi ci
inviano, come un improvviso calo del rendimento scolastico,
l’isolamento, il mutismo, disturbi psicosomatici, la dipendenza da
Internet. Ma per aiutarli davvero è necessario che l’ansia dilagante sia
contrastata da dosi massicce di fiducia e di speranza e
che,all’individualismo narcisista dell’Io, si sostituisca il Noi
generazionale della solidarietà e della collaborazione.