Reubblica 1.7.16
Sei miliardi di Pil ecco quanto vale il Dragone d’Italia
I 270mila immigrati versano 250 milioni di Irpef. Cresce l’impresa: 32 per cento in 5 anni
Un’impresa di lavoratori cinesi in Italia
di Vladimiro Polchi
ROMA.
Un esercito di commercianti, ristoratori, baristi, albergatori e operai
tessili marcia sul nostro Paese sventolando la bandiera rossa a cinque
stelle. Oggi infatti un bel pezzo del Pil italiano parla cinese: ben 6
miliardi di euro all’anno. Non solo. I 270mila immigrati del Paese del
Dragone versano nelle casse dello Stato 250 milioni di Irpef, mentre si
riduce il fiume delle loro rimesse dirette verso casa. Cresce infine tra
loro chi fa impresa: 32% in più in cinque anni.
Quanto valgono
oggi i “cinesi d’Italia”? Nonostante le grandi sacche di nero
dell’economia sommersa molto presente nella comunità, il loro contributo
al sistema Italia cresce ogni anno. Qualche numero: i cinesi regolari
residenti al primo gennaio 2016 sono 271mila, pari al 5,4% del totale
degli stranieri. La loro è la quarta comunità più numerosa dopo quella
dei romeni, albanesi e marocchini. Quasi per la metà (49,4%) sono donne.
A livello territoriale, la regione con più cinesi è la Lombardia
(62mila), seguita da Toscana, Veneto, Emilia-Romagna, Lazio, Piemonte.
La Toscana è però la regione dove i cinesi costituiscono la componente
più rilevante (ben 11,6%) della popolazione immigrata.
È un popolo
di lavoratori: come dimostra infatti uno studio della Fondazione Leone
Moressa, il tasso di occupazione dei cinesi in Italia è decisamente più
alto sia rispetto alla media degli immigrati, che a quella degli
italiani. «Il tasso di occupazione (tra i 15-64 anni) è infatti del
67,8%, rispetto al 55,4% degli italiani, mentre il tasso di
disoccupazione (dai 15 anni) è del 4,8%, anch’esso molto inferiore
rispetto alla media». Cosa fanno? Il 36% lavora nel commercio, il 28%
nell’industria e il 27% nella ristorazione. «Considerando che gli
occupati cinesi rappresentano circa il 5% degli occupati stranieri e
ipotizzando che abbiano la stessa produttività — scrivono i ricercatori
della Moressa — si può stimare un valore aggiunto per il 2015 di circa 6
miliardi di euro».
E ancora: i cinesi fanno impresa. Nel 2015 la
Cina supera quota 65mila imprenditori in Italia, attestandosi al secondo
posto dopo il Marocco, con il 10% degli imprenditori stranieri totali
(656.114). Negli ultimi 5 anni sono loro la comunità con il più forte
aumento (+32%), pari a 16mila imprese in più rispetto al 2010. Sono
giovani (il 66% è compreso tra 30-49 anni) e donne (la Cina ha la più
alta presenza femminile tra gli imprenditori stranieri: 45,5%).
Il
boom di imprenditori cinesi degli ultimi anni è confermato anche
dall’anno di iscrizione: il 65% si è iscritto dopo il 2010. Il commercio
(37%) è il primo settore, davanti a manifatture (28%), alberghi e
ristoranti (22%).
Le prime tre regioni per presenza di
imprenditori cinesi sono Lombardia, Toscana e Veneto. A livello
provinciale, dopo Milano (12,6%), spicca il caso di Prato (9%). In terza
posizione Roma con il 7,8%. E se in Toscana il 20% degli imprenditori
stranieri è cinese (1 su 5), a Prato questa percentuale arriva fino al
63%.
Le tasse: i contribuenti nati in Cina che nel 2015 hanno
versato le imposte sono stati 92mila, il 4,2% rispetto al totale dei
nati all’estero. Il gettito Irpef prodotto è di 250 milioni di euro, con
una media pro-capite di circa 2.700 euro annui. Non solo. Anche qui si
nota la loro dinamicità: se il totale degli stranieri ha subito
nell’ultimo anno un lieve calo nel gettito Irpef, la Cina ha fatto
segnare un +6,5% nel numero di contribuenti e +11,9% nel volume Irpef.
Infine
le rimesse. Ogni immigrato cinese spedisce a casa 175 euro al mese: una
cifra superiore alla media, grazie all’alto tasso di popolazione
attiva. Ma la Cina, che fino a pochi anni fa era la meta principale
delle rimesse degli stranieri, ha subito un forte calo e oggi raccoglie
appena un decimo del volume totale dei soldi spediti all’estero. I
flussi sono diminuiti nell’ultimo anno (-31,9%) e crollati negli ultimi
cinque (-71,4%). «Questo dato può essere letto in diversi modi —
ragionano dalla Moressa — da un lato può significare la maggiore
propensione degli immigrati cinesi a investire in Italia, allentando i
legami con il Paese d’origine. Dall’altro lato, il calo dipende anche
dall’intensificarsi dei controlli sulle transazioni, volti a diminuire
gli utilizzi impropri di questo canale».