Repubblica Salute 12.7.16
Le terapie
Proviamo a chiamarla sindrome di Bleuler
di G. D. B.
Il
primo a chiamarla schizofrenia fu all’inizio del ventesimo secolo lo
psichiatra svizzero Eugen Bleuler. Il termine, nel linguaggio comune, è
diventato dispregiativo: stigma, rifiuto sociale ed emarginazione (del
paziente e, talvolta, della famiglia). E oggi si pensa a una definizione
alternativa, non più schizofrenia ma “sindrome di Bleuler”, mentre gli
specialisti mettono in guardia dall’uso del semplice termine “psicosi”,
che indicherebbe soltanto la presenza di deliri e/o allucinazioni,
potenziali espressioni anche di altre patologie. Due le categorie di
farmaci: antipsicotici classici o standard e antipsicotici di nuova
generazione. Alcuni “atipici” possono interferire con il metabolismo
lipidico e glicidico, causando obesità e maggior rischio di diabete. Sul
fronte psicosociale il riferimento è ai “social skills training”,
interventi mirati al recupero delle abilità: vestirsi, lavarsi e
mangiare da solo, usare il denaro, prendere un mezzo pubblico o fare la
spesa. Tra gli obiettivi: addestrare il paziente a un’attività
lavorativa e fornire a lui e ai familiari informazioni su malattia e
terapie.
Sul versante psicoterapeutico, è oggi documentata
l’efficacia di interventi cognitivo-comportamentali che hanno come
bersaglio principale l’elaborazione e il vissuto da parte del paziente
delle esperienze allucinatorie.