Repubblica Salute 12.7.16
Mario Maj, ordinario al II Ateneo di Napoli, già presidente della Società Internazionale di Psichiatri
Schizofrenia.
Le
complicanze del parto, i traumi da separazione, gli abusi subiti in età
infantile o nell’adolescenza. Ma anche il consumo smodato di
stupefacenti. Un network italiano ha studiato 921 pazienti con 383
familiari. E scoperto come il genoma influenza le psicosi
Quei momenti della vita che sconvolgono il Dna
intervista di Giuseppe Del Bello
LA
GENETICA fa la parte del leone. In tante patologie. E un ruolo ce l’ha
anche nello sviluppo della schizofrenia. Resta da capire però in che
modo il Dna influenzi lo sviluppo di una malattia come questa. Aggiunge
un tassello al puzzle una ricerca appena pubblicata da Mario Maj,
ordinario al II Ateneo di Napoli, già presidente della Società
Internazionale di Psichiatria oltre che Editor di World Psychiatry, la
rivista col maggior impact factor al mondo tra quelle di psichiatria.
Maj ha scoperto che in alcuni pazienti esiste una variazione genetica,
che i genitori non hanno, in alcuni segmenti di Dna che regolano
l’espressione di geni implicati nel neurosviluppo.
Dunque ciò che viene trasmesso con meccanismo genetico non è la malattia, ma la vulnerabilità nei suoi confronti?
«Infatti,
è così. Se con meccanismo genetico venisse trasmessa la malattia vera e
propria, la concordanza tra i gemelli monozigoti, che hanno esattamente
lo stesso patrimonio genetico, dovrebbe essere del 100 per cento,
mentre è intorno al 50».
Ma allora come si estrinseca la vulnerabilità genetica di cui lei parla?
«Secondo
le ultime acquisizioni, questa vulnerabilità interagisce, in periodi
“sensibili” della vita (come l’epoca perinatale e l’adolescenza), con
una varietà di fattori ambientali. Per esempio con quelle complicanze
ostetriche che comportano un’ipossia cerebrale prolungata o con gli
eventi traumatici di separazione o abuso nell’infanzia e
nell’adolescenza. Oppure, con situazioni di disagio come la migrazione,
l’urbanizzazione e con il consumo eccessivo di alcune sostanze. Ecco,
questi sono tutti fattori ambientali che possono favorire il
manifestarsi della malattia».
Quindi non entra in gioco un solo gene?
«Nel
caso della schizofrenia la vulnerabilità non è legata a un gene
principale o a un gruppo ristretto di geni. La vulnerabilità sembra
essere distribuita in numerosi geni, implicati principalmente nello
sviluppo del sistema nervoso centrale e nella plasticità neuronale
(capacità di reazione del cervello agli stimoli ambientali, ndr), nella
neurotrasmissione e nei meccanismi immunitari».
Neurotrasmissione dice lei, si riferisce al segnale nervoso?
«Esatto,
e in questo caso si tratta di geni coinvolti nei sistemi che hanno come
neurotrasmettitori la dopamina o il glutammato. Questo, da un lato
sembra confermare le attuali ipotesi circa le basi neurochimiche della
schizofrenia (“ipotesi dopaminergica”) e dall’altro potrebbe guidare lo
sviluppo di nuovi farmaci aventi come bersaglio il sistema
glutammatergico ».
Su quale filone di ricerca genetica si sono concentrati gli studiosi?
«Il
primo, molto attivo, riguarda le variazioni di singoli nucleotidi
(unità costitutive del Dna) all’interno di geni selezionati. Ed è
servito a individuare variazioni a carico di diversi geni probabilmente
implicati nella malattia».
E il secondo filone?
«Ha
riguardato l’analisi delle cosiddette “copy number variations” (Cnv),
cioè duplicazioni o delezioni anomale di tratti del Dna. E ce n’è una in
particolare, la delezione 22q11.2 che, nelle persone in cui è presente,
si accompagna ad una probabilità di sviluppare la schizofrenia
nell’arco della vita del 25%. Inoltre, nei pazienti con schizofrenia, la
frequenza della delezione è 10-20 volte più elevata che nella
popolazione generale ».
Qual è il supporto della ricerca italiana allo sviluppo delle conoscenze sulla schizofrenia?
«Notevole.
Sia sul versante clinico e del funzionamento cognitivo e sociale, sia
su quello della genetica e della visualizzazione del cervello in vivo
(imaging radiologico). Un importante contributo italiano è arrivato
inoltre dal “Network Italiano per la ricerca sulle psicosi” a cui
afferiscono 27 centri. Questo network ha recentemente completato uno
studio su 921 pazienti con schizofrenia, 383 loro familiari di primo
grado e 780 controlli normali. Un lavoro che ha permesso di costruire un
modello di interazione tra fattori diversi (inerenti alla malattia,
alle risorse della persona e al contesto ambientale) che possono
condizionare il funzionamento sociale dei pazienti nella vita di tutti i
giorni».