Repubblica 9.7.16
Isabel Wilkerson
“La questione razziale qui non è mai stata davvero affrontata”
intervista di An. Lo.
«TRAGEDIA
dopo tragedia, in America si è venuta a creare un’atmosfera mefitica.
La stessa che ha probabilmente dato linfa anche all’estremismo di un
attacco feroce come quello di giovedì sera a Dallas».
Isabel
Wilkerson, 55 anni, è l’ex giornalista del New York Times che nel 1994
fu la prima reporter nera a vincere il Pulitzer. Ma anche la storica che
ne Al calore di soli lontani (Il Saggiatore) ha raccontato la grande
migrazione degli afroamericani che fuggirono dal Sud per cercare
riscatto al Nord. «Fatti come questi accadono perché l’America ancora
non riesce a fare i conti col passato. È il frutto di una storia, quella
dei neri in America, mai veramente affrontata e risolta».
Sì, ma qui ci troviamo di fronte a una strage senza senso.
Siamo tutti inorriditi, proprio come ha detto il presidente Obama...
«Naturalmente
è un atto ingiustificabile di cui sappiamo ancora poco. Come poco
sappiamo della stabilità mentale dell’uomo che ha sparato. Ma certo
all’interno della comunità afroamaricana la gente è sempre più stanca,
frustrata. Si sente spezzata. È insieme arrabbiata e spaventata».
Pensa che si sia il rischio di una deriva estremista?
«No,oppure
almeno non è una conclusione a cui possiamo arrivare sulla base di un
singolo attacco. Sto seguendo il dibattito sui socia media e
fortunatamente non c’è nessuno che approva, che dice “andiamo a fare
fuori i poliziotti”. La gente è semmai traumatizzata. Quello che vedo è
che si rafforza un’attitudine difensiva, di chiusura, il “diamoci una
mano l’un l’altro”, non certo “rovesciamo il sistema”. La mia
impressione è che gli aforamericani si sentano come cento anni fa:
indifesi, in balia».
Ma questa volta le vittime sono dei
poliziotti. E qualche commentatore già insinua: la comunità
afroamericana sarà pronta a piangerli, a essere solidale nei loro
confronti?
«Questa è una domanda che viene posta continuamente
agli afroamericani. Ma credo sia sbagliata. Qui c’è un’intera società
che deve assumersi la responsabilità di reagire alle ingiustizie verso
altri esseri umani, a prescindere dal colore della loro pelle. Anche
grazie ai social oggi nessuno può dire di non sapere. I pestaggi, le
uccisioni di persone innocenti, sono ormai sotto gli occhi di tutti. Se
non fai qualcosa per fermare la violenza diventi parte di quel processo
violento. Ne sei responsabile ».
Certo, i social ormai fungono da
testimoni oculari di ingiustizie. Ma la propagazione senza filtri di
certe immagini non rischia di contribuire a creare quella stessa
atmosfera di violenza che denunciano?
«Un tempo i neri venivano
linciati e impiccati per strada: e la gente accorreva per vedere. Ora
con i social si mostra semplicemente quel che è sempre accaduto. Come
l’agonia di Philando Castile che la sua compagna ha trasmesso su
Facebook Live, mentre non le veniva nemmeno permesso di soccorrerlo.
Queste immagini replicano un orrore antico. L’assassinio dei neri si
reitera e mostrarlo credo che in qualche modo umanizzi le statistiche.
Ma allo stesso tempo rende l’orrore normale. E questo non può che
portare ad altro orrore».