Repubblica 9.7.16
La guerra civile non è finita
di Vittorio Zucconi
WASHINGTON
A TRE isolati dalla Daley Plaza, lungo la stessa strada che John F.
Kennedy percorse verso la morte un mezzogiorno di cinquantatré anni or
sono, riesplode nelle vie di Dallas l’eco della guerra civile che non
finisce mai: quella dell’America in bianco e nero contro se stessa.
NON
IMPORTA se il casus belli, l’occasione per questa nuova battagia
condotta con fucili d’assalto, così come Lee Harvey Oswald sparò dal
sesto piano del deposito di libri, sia stato oggi la reazione violenta
alla quotidiana esecuzione di uomini di colore — 123 dall’inizio
dell’anno, quasi uno al giorno — da parte di polizie che dovrebbero
«proteggere e servire» tutti i cittadini, di qualsiasi pelle siano. La
battaglia di Dallas 2016 è parte di un “continuum” nel tempo, e ora
anche simbolicamente nello spazio urbano, che l’elezione di un
presidente nero non ha spezzato.
Il peccato originale, la colpa
storica dello schiavismo che neppure i 650 mila caduti nella Guerra
civile, il sangue di soldati bianchi e neri mescolato insieme sulle
spiagge della Normandia o nelle valli dell’Afghanistan ha mai lavato,
riaffiora puntuale dal sottosuolo di una società che è chiamata,
generazione dopo generazione, a pagarlo. Lo sparse JFK, andato in visita
in un Texas 1963 dove il rancore, l’odio per la sua conversione ai
diritti civili dei neri, sincera od opportunistica che fosse stata dopo
la sua opposizione negli anni Cinquanta come senatore, aveva spinto
molti dei suoi assistenti a cercare di dissuaderlo. «Ho visto che il
Texas mi ama», furono le sue ultime parole scivolando lungo Main Street,
la stessa della sparatoria di ieri l’altro, verso i proiettili nella
nuca, 200 metro dopo. Lo hanno versato George Wallace, governatore
dell’Alabama dichiaratamente razzista, paralizzato dai colpi
dell’attentatore che gli troncò la spina dorsale, Martin Luther King,
Robert Kennedy, Malcolm X e continua a sgorgare dalle arterie di giovani
e meno giovani afroamericani, abbattuti impunemente da agenti di
polizia nelle strade delle città per la sola colpa di essere neri e
degli stessi agenti di polizia, come quelli uccisi giovedì a Dallas.
Sono stati 53 gli uomini e le donne della pubblica sicurezza bianchi
come neri, abbattuti in conflitti a fuoco in questo 2016 e dunque il
sangue degli uni come degli altri continua a mischiarsi, come nei
mattatoi della Guerra Civile dove fratelli morivano gli uno accanto agli
altri, divisi dal colore delle uniformi.
Questo fiume carsico di
sangue che ora è riemerso nel Texas e ha fatto più vittime tra gli
agenti di polizia dai caduti nell’attacco al World Trade Center del 2001
e per un giorno ha fatto dimenticare l”Is e il terrorismo islamista,
trasporta, con i cadaveri della guerra infinita, i detriti micidiali
della follia a mano armata che sta facendo strage di innocenti
illudendoli di proteggerli. Non era mai stato difficile impugnare
un’arma da guerra, come dimostrò Oswald acquistando da un catalogo per
posta il suo fucile da cecchino Mannlicher Carcano, ma l’epidemia di
mitragliatrici, armi automatiche, fucili a pompa, rivoltelle è la
benzina che il lobbysmo e la viltà morale della classe politica
permettono di gettare sul fuoco, nascondendosi dietro l’ambiguità del
diritto costituzione a possedere armi. Al racial profiling,
all’identificazione ormai illegale, ma instintiva che collega la razza
alla criminalità e fa di ogni nero un potenziale deliquente, si è
aggiunto il timore, questo ben fondato, che quell’automobilista fermato
un segnale di stop bruciato, quel ragazzo che ciondola davanti a
minimarket, quel vecchio che trascina una borsona di sigarette di
contrabbando ed “erba” possa nascondere un’automatica e sia pronto a
usarla. I poliziotti, ai quale viene insegnato nelle Accademie a sparare
sempre al bersaglio grosso, al torace, applicano il principio del
«prima spara e poi chiedi», a volta sparando senza neppure chiedere.
Perché l’uomo nero è la minaccia, il nemico, l’estraneo. Come Obama che
ancora un terzo degli elettori di Trump considerano un usurpatore, lo
schiavo ribelle che occupa la piantagione.Africano abusivo con falsi
certificati di nascita.
Era solo questione di tempo perché le
sagome bersaglio diventassero esseri umani capaci di tirare sul
tiratore, trasformando lui nel bersaglio. Era naturale, logico nella
follia, che il luogo dove scoppiasse la battaglia fosse la fatale
Dallas, il nome, la stella nera che risucchia gli spettri. Ma la domanda
che dalla sparatoria dal garage del Texas, come da quella di 53 anni
fa, esce, non è il chi, il perché, il come, che sono parte di semplici
investigazioni giudiziarie. La domanda è il «cosa accadrà adesso», quali
effetti il riaffiorare delle rapide di sangue dal fiume sotterraneo
provocherà. Dall’assassinio di JFK eruttò la decade più horribilis del
dopoguerra americano, quella che avrebbe partorito l’esportazione delle
guerra interna nelle risaie di Indocina, le stragi di soldati americani e
civili vietnamiti, gli omicidi politici, la drastica svolta a destra
verso la promessa bugiarda di “Legge e Ordine” fatta da Nixon che
avrebbe veleggiato sul vento nuovo della paura fino a naufragare nel
Watergate. Ora siamo in piena campagna elettorale, stagione velenosa,
intossicata dall’implicito messaggio di odio razziale che Trump ha
diffuso, nascosto dietro la paura dell’islamico terrorista e del
messicano «ladro e stupratore », metafora fin troppo evidente perché non
osa dire esplicitamente che il ritorno alla grandezza dell’America,
significa il ritorno alla sua America, quella bianca. Una nazione
“nostra” finalmente purificata dall’africano usurpatore Obama e dalla
sua erede designata, quella donna “corrotta”, come lui definisce
Hillary. La visione del sangue di Dallas, il suono raggelante dei fucili
automatici secchi e ripetitivi nella notte, lo sguardo nell’abisso di
una guerra civile potranno riportare il fiume rosso nel sottosuolo,
nasconderlo, spingere i vari dipartimenti di polizia a rivedere le
procedure, i magistrati a processare e forse condannare i poliziotti dal
colpo facile, i leader delle comunità nere, i pastori, gli attivisti a
predicare calma, ma il fiume continuerà a scorrere, seducente e denso
nel suo richiamo di guerra. Ieri mattina, nelle prime ore di Borsa, il
titolo della Smith & Wesson, grande spacciatrice di armi, era
balzato in alto, prima di calmarsi, in vista della corsa dall’armaiolo
che sempre segue le sparatorie. La guerra continuerà.
Neppure il
sangue di soldati bianchi e neri mescolato in Normandia oppure in
Afghanistan ha mai lavato la colpa storica dello schiavismo Era solo
questione di tempo perché le sagome bersaglio diventassero esseri umani
capaci di “tirare sul tiratore” trasformando lui nel bersaglio